Colazione da Tiffany, ma anche pranzo e cena. I grandi brand del lusso e del fashion stanno ormai consolidando la loro presenza nella ristorazione di alto livello sullo scacchiere internazionale. Superando così anche la crisi
Negozi chiusi per mesi, aziende ferme, collezioni spesso cancellate o nella migliore delle ipotesi presentate in streaming. Anche la moda italiana è finita nella morsa del Covid. «Il 2020 è stato indubbiamente un anno drammatico per tutta la Moda, in quanto siamo il settore più colpito dalla crisi pandemica dopo il turismo – ci ha spiegato il presidente di Confindustria Moda, Cirillo Marcolin (nella foto). – Il fatturato delle aziende rappresentate si attesta nel 2020 a 72.5 miliardi di euro, in contrazione sul 2019 del 26%. Nonostante questo, il saldo commerciale del fashion ha raggiunto i 17.4 miliardi di euro, confermando il settore come il primo contributore alla bilancia commerciale del Paese fra le tre F (Fashion, Food, Forniture) che hanno reso il Made in Italy un’eccellenza in tutto il mondo».
Conti alla mano, in totale nel 2020 la moda ha perso 25 miliardi e nel solo quarto trimestre la contrazione media delle aziende è stata nell’ordine del 20%. «Prima dell’esplosione della pandemia, le aziende confederate nella Confindustria Moda davano lavoro a più di 620 mila persone – ha continuato Marcolin. – Oggi il 50% dei nostri affiliati indica un calo di addetti, in base a quanto consentito per legge, cioè con risoluzioni consensuali, pensionamenti e mancati rinnovi di contratti a termine, per una contrazione media del 4,2%».
E pensare che le ultime stime dell’Area studi di Mediobanca ci hanno confermato che, in tempi normali, il settore della moda è uno dei più importanti per la nostra economia che da solo vale l’1,2% del Pil con previsioni di crescita continua che avrebbero dovuto portare il fatturato a 80 miliardi a fine 2021. Ma la pandemia ha bloccato tutto e per tornare alla normalità bisognerà attendere anche un po’. «La ripresa vera e propria dovrebbe incominciare dal secondo semestre del 2021, per un ritorno ai livelli pre-covid nel 2023», ha affermato il presidente.
E poteva andare anche peggio. Se l’industria italiana della moda è crollata, ma non è sprofondata, è stato merito delle vendite online con i consumi che sono saliti a due cifre nel periodo di maggiori restrizioni. «Sicuramente l’e-commerce è stato una vera àncora di salvezza, specialmente nei primi mesi di lockdown. La potenzialità che la digital transformation offre, non solo in termini di e-commerce, ma anche di gestione della propria filiera e ottimizzazione delle risorse, è oggi di grande rilevanza strategica per tutte le aziende, per questo è importante che venga elaborato un sistema di incentivi che aiuti anche le realtà più piccole a innovarsi», ha concluso Marcolin.
Anche il Lusso è stato duramente impattato dalla crisi, con cali di fatturato che sono arrivati fino al 39%, a causa soprattutto della mancanza dei turisti stranieri, quelli che maggiormente spendono in vestiti, orologi e accessori italiani di alta gamma.
Forse è anche per questo motivo che i brand più famosi hanno adottato nuove strategie per mantenere in piedi la propria economia. E una di queste è stata lanciarsi nel mondo del food. Ebbene sì, le maison d’alta moda puntano sempre di più sulla collaborazione con celebri chef per promuovere l’esperienzialità della marca.
L’ultima in ordine di tempo è stata Louis Vuitton che ha debuttato nel mondo della ristorazione a febbraio scorsoaprendoi suoi primissimi caffè e ristorante, Le Café V eSugalabo V, concepiti in collaborazione con il celebre chef Yosuke Suga e situati all’ultimo piano della nuova Maison Osaka Midosuji, in Giappone. Entrambi firmati dagli architetti Jun Aoki e Peter Marino, gli ambienti sono ad alto tasso di “Instagrammabilità”: poltroncine in velluto, dettagli dorati e bauli Monogram fanno da contorno a una mise en place con stoviglie e posate rigorosamente brandizzate. La nuova Maison attinge al patrimonio di Osaka, come il porto più importante del Giappone. Ispirato alle vele della tradizionale nave mercantile Hagaki-Kaisen, Aoki ha infatti immaginato una facciata bianca fluttuante rinforzata da motivi di traforo metallici a livello del suolo, dando l’impressione di una nave che galleggia sulle acque. Il piano terra della maison è dedicato all’abbigliamento femminile, mentre il mezzanino mostra non solo i bagagli e l’arte del viaggio, ma anche un panorama a volo d’uccello della sala principale. La collezione completa di prêt-à-porter e accessori da donna occupa invece il terzo pianomentre al quarto c’è tutto l’occorrente per la moda uomo. Le Café V è situato all’ultimo piano del negozio, è uno spazio soleggiato con vetrate a tutta altezza e una terrazza all’aperto, che serve un menù di insalate, quiche, panini e dolci alla francese, abbinati a tè speciali, vini pregiati, cocktail e un’intrigante selezione di acqua minerale. Una porta accanto al cocktail bar conduce a Sugalabo V che offre ogni sera ad una manciata di ospiti menù di degustazione sperimentali.
Solo qualche giorno prima un altro marchio di Lvmh ha fatto lo stesso tipo di operazione: Tiffany ha inaugurato il Blue Box Cafe a Londra, all’interno di Harrods, là dove un tempo c’era il Fendi Café. La caffetteria nelle sfumature dell’iconico azzurro prevede dettagli che rendono omaggio all’heritage della maison, come l’utilizzo della pietra amazzonite, i motivi floreali e faunistici, tutti rigorosamente dipinti a mano, accompagnati da tocchi giocosi come l’iconico cuore. Il locale accoglie la clientela anche per il tè del pomeriggio o la cena, per un’esperienza all’insegna della bellezza e del gusto. Sul menù si trovano prelibatezze come il salmone affumicato che arriva dalle Isole Faroer, uova e cheddar rigorosamente bio provenienti da fattorie della campagna inglese, mentre parlano internazionale la carta dei vini e quella, ricchissima, dei tè. Sentirsi come Audrey Hepburn è possibile a colazione, per il classico “Afternoon Tea” e a cena.
Anche Dior non ha resistito alla contaminazione: la storica boutique parigina in Avenue Montaigne riaprirà dopo la ristrutturazione, affiancando alle collezioni anche un esclusivo spazio dedicato alla ristorazione.
Ma il connubio fashion/food va di moda già da un po’. Basti pensare all’esperimento bis del tristellato Michelin Massimo Bottura in partnership con Gucci. Dopo Firenze, al 347 di Rodeo DriveaBeverly Hills ha aperto Gucci Osteria: un ristorante da 50 coperti, col verde come colore guida, specchi preziosi, tavoli di marmo e sedie in vimini. I locali sono al secondo piano della boutique e la terrazza esterna è il vero punto di forza. In carta i grandi classici dello chef, come i tortellini alla crema di parmigiano reggiano, Emilia Burger, risotto camouflage, ma anche sperimentazioni dal sapore californiano, come la pasta e fagioli con ricci di mare.
Tre sono i ristoranti che Ralph Lauren ha aperto nel mondo, uno a New York, uno a Parigi e l’ultimo a Chicago, tutti in perfetta sintonia con l’estetica della maison.
Thomas è invece il caffè che prende il nome dal fondatore dello storico marchio britannico Burberry: questo spazio su due livelli nel flagship store londinese è declinato sui toni del beige, grigio e marmi chiari, colori guida del brand da sempre, ed offre un’esperienza fruibile in due modalità. A livello strada, una caffetteria per una pausa veloce, al piano superiore un ristorante dall’atmosfera più formale. Ostriche ed aragosta sono il pezzo forte della carta. E per chi vuole ancora più esclusività, c’è The Snug, una sala intima per una cena in compagnia di 14 ospiti al massimo, con menù standard o personalizzabile.
Insomma, è proprio il caso di dirlo: il cibo va di moda. Coco Chanel aveva ragione quando diceva: «La moda non è qualcosa che esiste solo negli abiti. La moda è nel cielo, nella strada, la moda ha a che fare con le idee, con il nostro modo di vivere, con quello che ci accade intorno».