La Banca centrale europea non è mai stata così ascoltata dai cittadini comuni, ma anche così elegante. E così pop

«Manteniamo la rotta». È questo il mantra di Christine Lagarde, come lei stessa lo definisce. L’ha ribadito al World Economic Forum a voce e lo ha confermato nei fatti con la decisione di alzare (ancora) i tassi europei. Una scelta avvenuta sulla base delle stime dei grandi economisti, che, nelle ultime settimane, sono passati da un grave pessimismo all’ipotesi di una “lieve contrazione” nel primo trimestre di quest’anno. «Quello che stiamo vedendo in questo momento – ha spiegato alla platea mondiale di Davos e ai media – è chiaramente un’attività in calo rispetto a un eccellente 2022, dove la crescita è stata del 3,4%, alle proiezioni di crescita che abbiamo per l’intero 2023 dello 0,5%. Quindi, non è un anno brillante, ma è molto meglio di quello che avevamo temuto». Dritti alla meta, quindi.

E qual è la meta della “grande timoniera”? Riportare l’inflazione al 2%. Senza se e senza ma, con una determinazione più volte definita come “indubitabile”.

«L’inflazione, a detta di tutti, comunque la si guardi, è troppo alta – ha scandito al World Economic Forum. – La nostra determinazione, alla Bce, è di riportarla al 2% in modo tempestivo e per farlo stiamo adottando tutte le misure che dobbiamo». Posizioni ribadite a ogni appuntamento ufficiale, tra cui le conferenze stampa della Banca centrale europea che seguono il “ritocco” al rialzo dei tassi.

«La nostra determinazione è mantenere la rotta, entrare in territorio restrittivo a sufficienza e restarci per qualche tempo in modo da raggiungere l’obiettivo nel medio periodo» ha ribadito il 2 febbraio a Francoforte, rimarcando che «dobbiamo fare il nostro lavoro, non dobbiamo distrarci e dobbiamo raggiungere il nostro mandato».

E non mancano le stoccate ai governi dell’Unione, più volte esortati ad adeguare le politiche fiscali al ferreo obiettivo della Banca centrale, quindi invitati a non alimentare l’inflazione con aiuti a pioggia e, anzi, ad abbassare i prezzi quando possibile. «Altrimenti saremo costretti ad alzare ulteriormente i tassi», non ha esitato a ripetere più volte, quasi disegnando con lo sguardo la spirale di un’escalation inflattiva perenne.

Del resto, Lagarde non allentò la rotta nemmeno davanti al Covid. Memorabile il suo «non siamo qui per chiudere gli spread», pronunciato agli inizi di marzo 2020, nei giorni in cui i Paesi europei si chiudevano uno dopo l’altro davanti all’incalzare del Coronavirus: i governi annaspavano e queste parole fecero crollare le Borse, soprattutto Milano, prima che lei rimediasse.

Ma chi è questa donna, la seconda più potente al mondo (dopo Ursula von der Leyen, secondo Forbes), che parla all’Europa e al mondo dal palazzo di vetro di Sonnemannstrasse 20 a Francoforte?

66 anni, figlia modello di un’insegnante di latino e di un professore d’inglese, parigina ma cresciuta in Normandia, mattiniera, vegetariana, astemia, cattolica praticante, amante delle immersioni e della musica classica, Christine Lagarde è stata abituata alla disciplina, anche per via dei suoi trascorsi sportivi, senza però dimenticare il suo coté femminile.

Ha mantenuto il cognome del primo marito, Wilfried Lagarde, da cui ha avuto due figli, Pierre-Henri e Thomas. Alle spalle anche un secondo matrimonio, anche questo finito in un divorzio, con l’uomo d’affari britannico Eachran Gilmour. Da 15 anni il suo compagno è il manager di origini corse Xavier Giocanti, che deve fare lo slalom fra i mille impegni di una “primadonna”. Se lei non parla mai della sua vita privata, è Giocanti, sul suo blog, a tratteggiare la nascita del loro amore: «ci siamo conosciuti all’Università di Nanterre nel 1980, dove abbiamo insegnato legge, e poi le nostre strade si sono separate. Ci siamo ritrovati a Marsiglia nel 2006 durante una delle sue prime visite come ministro del commercio estero. La prima parte della nostra relazione era puramente amichevole e la seconda divenne sentimentale» scriveva ormai qualche anno fa.

Donna più potente dell’economia europea, Christine Madeleine Odette Lagarde, nata Lallouette, in realtà nasce avvocato, con una laurea in scienze politiche presso l’Università di Aix-en-Provence e diversi master (ma verrà bocciata per ben due volte all’Ena, la Scuola nazionale d’Amministrazione, in cui si prepara la classe dirigente della Francia). Tutta la sua carriera legale è presso Baker & McKenzie, tra i più prestigiosi studi internazionali, dove Lagarde compie un’ascesa impressionante, fino a diventare presidente del comitato esecutivo mondiale a Chicago nel 1999, prima donna e prima non americana a ricoprire questa posizione.

Sotto la sua presidenza, dal 1999 al 2005, Baker & McKenzie ha aumentato il proprio fatturato del 50% chiudendo l’esercizio 2004 a 1,228 miliardi di dollari. Arrivano le attenzioni del mondo politico francese, e le viene proposto il posto di vice ministra al Commercio estero nel governo de Villepin a giugno 2005. Debutta con una gaffe, definendo, due giorni dopo la sua nomina, il Codice del lavoro francese «complicato, ingombrante e un freno alle assunzioni».

Nel 2007 diventa, dopo la vittoria di Nicolas Sarkozy alle elezioni presidenziali, ministra dell’Agricoltura e della Pesca, ma l’incarico dura poco perché dopo le fallimentari elezioni legislative di quell’estate, Sarkozy la vuole come ministra dell’Economia, dell’Industria e del Lavoro. Ma – proprio come avverrà con la Bce – il suo debutto è scandito da una crisi mondiale, quella scatenata dal fallimento di Lehman Brothers: eppure – aveva detto la Lagarde pochi giorni prima – «il peggio della crisi è alle nostre spalle».

Ad ogni modo, è stata la prima donna nel Gruppo degli Otto a ricoprire questa posizione influente. La sua nomina rifletteva la fine di una leadership politica dominata dall’antiglobalizzazione e la fiorente (e tacita) accettazione delle spiacevoli misure necessarie per rivitalizzare l’economia francese sempre più non competitiva e debole. Contrariamente ai suoi predecessori, Lagarde sosteneva la controversa opinione che la settimana lavorativa di 35 ore del Paese fosse un simbolo di indolenza. Ha sostenuto un’etica del lavoro più forte, un sentimento in cui la comunità imprenditoriale francese si è rispecchiata.

Lagarde ha anche attirato critiche per la sua gestione di una controversia riguardante Bernard Tapie. Il vulcanico imprenditore sosteneva che il Crédit Lyonnaise, di proprietà statale, lo avesse truffato, quando l’istituto di credito aveva venduto le sue azioni in Adidas nel 1993. Lagarde ha gestito l’arbitrato nel 2008 e a Tapie sono stati assegnati 403 milioni di euro (allora valutati 524 milioni di dollari). Una decisione che fece scalpore. E non era finita lì.

In quegli anni difficili, Christine Lagarde, con la sua eleganza classica e la sua chioma orgogliosamente grigia, diventa un personaggio di riferimento dell’economia mondiale.

Così, quando nel 2011 scoppia lo scandalo sessuale intorno a Dominique Strauss-Kahn, allora direttore del Fondo Monetario Internazionale, alle sue dimissioni il governo francese usò la “carta-Lagarde” per mantenere una delle poltrone più prestigiose dell’economia internazionale. Ma, esattamente come il suo predecessore, anche Lagarde ha avuto a che fare con la giustizia (e anche un po’ di imbarazzo mediatico). Nel 2013, la procura indaga sul risarcimento a Tapie e perquisisce la casa della direttrice, in quanto “testimone”. La lettera che trovano finisce su tutti i media mondiali.

“Caro Nicolas,
molto brevemente e rispettosamente:
Sono al tuo fianco per servire te e i tuoi progetti per la Francia.
Ho fatto del mio meglio e posso aver fallito, qualche volta. Te ne chiedo perdono.
Non ho ambizioni politiche personali e non desidero diventare un’ambiziosa servile come molti di coloro che ti circondano: la loro lealtà è recente e talvolta poco durevole.
Usami per il tempo che serve a te, alla tua azione e al tuo casting.
Se mi usi, ho bisogno di te come guida e come sostegno: senza guida, rischio di essere inefficace; senza sostegno, rischio di essere poco credibile.
Con la mia immensa ammirazione, Christine L.”

Nicolas di cognome fa Sarkozy e L., ovviamente, sta per Lagarde.  Il Corriere della Sera definì lo stile del manoscritto «a metà strada tra Cinquanta sfumature di grigio e Fantozzi».

La lettera è senza data, ma è stata scritta con tutta probabilità quando la Lagarde era ministra delle Finanze e Sarkozy presidente della Repubblica. Le Monde per primo ne pubblicò il contenuto, mostrando al mondo un’immagine molto “sottomessa” della Lagarde.

Il tono dimesso e “servile” (termine usato dalla stessa Lagarde) accompagna ogni singola parola del testo. «Un capolavoro di sottomissione poco lusinghiero» per una delle donne più potenti del mondo, continuava il Corriere. Sulla stampa francese la lettera ebbe ampio risalto, così come sulla rete, dove gli utenti si sono sbizzarriti in meme della Lagarde in versione zerbino.

Questo tuttavia non impedisce ai membri dell’Fmi di confermarla in direzione nel 2016.

E proprio in quell’anno viene processata per le sue azioni riguardanti il ​​caso Tapie, che aveva suscitato ulteriori polemiche dopo che un tribunale francese aveva annullato il lodo arbitrale nel 2015. Lagarde viene accusata di negligenza e nel dicembre 2016 dichiarata colpevole. Non è stato ordinato il carcere e la direttrice resta al suo posto.

Due mandati non facili – con tanto di commissariamento della Grecia – in un’organizzazione in piena trasformazione, gestiti con polso e diplomazia. Qualità che spingono i leader europei a nominarla – non senza qualche irritazione – alla successione di Mario Draghi alla presidenza della Bce.

Il tempo di sedersi a Francoforte, e deve affrontare la crisi pandemica: dopo le prime esitazioni, come la gaffe sugli spread, Christine Lagarde capisce che non è una situazione da mezze misure e getta sul tavolo, con acquisti da migliaia di miliardi di euro, tutta la forza della Banca centrale europea. Per il 2022 era prevista comunque l’avvio della exit-strategy, ma la guerra in Ucraina e l’inflazione galoppante sono tornate a complicare le cose. Ma, c’è da scommetterci, la presidente ne uscirà, e bene. Ovviamente a modo suo.

A differenza di altri grandi banchieri centrali, non teme di mostrare il suo lato più umano e femminile. Come quando ha raccontato in un webinar la sua vita durante i mesi di lockdown: «con la pandemia – spiegò – ho compreso l’importanza cruciale dello sport e mi sono comprata una cyclette, visto che con le piscine chiuse non posso più nuotare. Per tenere in allenamento il cervello per me è di importanza fondamentale tenere in esercizio il corpo», ha aggiunto.

Il riferimento alle piscine rimanda al passato agonistico della Lagarde, anche questo iniziato in una sorta di “lockdown”. Infatti, nel 1968 con le scuole francesi chiuse per i moti studenteschi, Christine Lagarde iniziò a praticare nuoto sincronizzato, arrivando a entrare nella nazionale francese di specialità e vincendo una medaglia di bronzo in un campionato nazionale.

Pillole di vita privata, sapientemente diffuse (quando non le scoppia uno scandalo tra le mani) alternate ad una grande abilità politica e comunicativa.

Talenti e sforzi che sembrano dare i loro frutti. Sotto la sua guida, secondo un sondaggio dell’Eurobarometro, la fiducia nella Banca centrale europea non è mai stata così alta da 10 anni a questa parte, nonostante le crisi.

Ma mentre Lagarde è in grado di entrare in contatto con i cittadini europei meglio del suo predecessore Draghi, i suoi critici affermano che le manca la capacità dell’economista italiano di comunicare con gli esperti dei mercati finanziari. Formatosi al Mit, Draghi è ampiamente accreditato per aver salvato l’economia europea con il suo impegno «qualsiasi cosa serva» (l’originale in inglese suonava «Whatever it takes») per stabilizzare l’eurozona durante la crisi del debito sovrano.

«Non è Draghi», ha detto un membro del consiglio direttivo, parlando con Politico.eu, che si appella alla riservatezza delle fonti. «Si è imbattuta frequentemente in errori ed è incline a farlo ancora. E ancora» ha stigmatizzato. C’è anche chi dice: «un serio osservatore della Bce, con un profondo interesse per la politica monetaria, preferirebbe avere un presidente che si impegni in discussioni sul tema e sia in grado di dirigerla».

Molti osservatori vedono Lagarde più come un animale politico che come un banchiere centrale in grisaglie. «I punti di forza di Lagarde sono più nella politica che nelle tecniche di politica monetaria», ha affermato l’economista della Efg Bank Stefan Gerlach. Infatti, mentre la leadership tecnica di Draghi, durante la gestione della crisi, aveva lasciato un Consiglio profondamente diviso, Lagarde ha ricucito gli strappi e parlato con gli europei. E la sincronette ora è la timoniera.

di: Giulia GUIDI