La finale della NFL è molto di più di un evento sportivo: coinvolge gli statunitensi ovunque essi si trovino. E anche chi vive nel loro Paese

Il Super Bowl è molto più di una semplice partita di football americano. È una finestra sulla società e sulla cultura americana attraverso lo sport, il patriottismo, l’intrattenimento e la pubblicità.

Per comprenderne la portata oggettiva, la partita di domenica è stata vista da 114 milioni di spettatori, generando introiti pubblicitari per oltre 600 milioni di dollari, circa 7 milioni per 30 secondi di spot, che sono, a loro volta, i più costosi mai prodotti. Non solo: gli spettatori hanno speso 17,3 miliardi, 86 dollari a testa per cibo e bevande, televisori, abbigliamento della squadra, decorazioni. Le scommesse piazzate sulla partita hanno superato i 153 milioni di dollari.

Di fronte a questi numeri, quelli del risultato passano in secondo piano, tranne per i tifosi dei Kansas Chiefs, che hanno vinto ai supplementari contro i 49ers di San Francisco per 25 a 22. L’attenzione mondiale si è focalizzata molto di più sulla fidanzata del tight end della squadra vincitrice, Travis Kelce, che si chiama Taylor Swift. Sì, quella Taylor Swift

Non è servito al rapper Usher, protagonista del tradizionale halftime show, invitare a sorpresa Alicia Keys per rubare la scena alla record woman della musica, anche se nel ruolo di wag (così vengono chiamate le mogli, wives, e le fidanzate, girlfriends, che guardano i compagni dalla tribuna). I media di tutto il mondo erano concentrati da una settimana sull’arrivo della superstar, in questo momento in tournée, allo stadio di Atlanta, teatro della finalissima; il problema del posto per il parcheggio per il suo jet privato in arrivo dal Giappone, è stata la notizia di testa sui media globali per più di qualche ora e la foto del bacio al neo campione è immediatamente diventata l’icona del Superbowl LVIII

Insomma, è evidente che la partita conclusiva della Lega di football americano è un evento cardine nella vita degli americani tanto da fermare gli eserciti: nel “day after” le attività all’interno delle caserme Usa in territorio italiano sono cominciate alle 13. A raccontarlo è il sergente Kyle R. Toto della U.S. Army Garrison di stanza a Vicenza. Per comprendere le dimensioni del provvedimento, si consideri che, tra i soldati e le loro famiglie, sono oltre 5mila i cittadini americani nella città del Palladio: un abitante su 20. E poi ci sono i 10mila dipendenti. 

La notte è stata lunga nelle tre sedi militari dislocate nel territorio berico (e anche nei quartieri cittadini dove le famiglie risiedono), visto che la partita è iniziata a mezzanotte ed è durata oltre 4 ore, ma non c’è stato posto per la noia visto che i “watch party” prevedevano decine di chili di tradizionale cibo americano (hamburger, hot dog, alette di pollo, pop corn etc.) e ettolitri di birra. Non c’è posto, invece, per le risse tra tifosi, così familiari per gli sportivi italiani: «La composizione della platea è stata eterogenea, come supporto per le due squadre. I tifosi delle altre squadre di football, durante la finale, sono per la squadra che ha vinto il loro girone. Non c’è spazio per la rivalità, perché la finalissima rappresenta il momento più importante dello sport nazionale. E passeranno sei mesi prima dell’inizio del prossimo campionato, quindi tutti pensano solo a godersi il momento». 

Per questo coinvolgimento e questo spirito di unità nazionale, «il giorno del Super Bowl può essere paragonato alla festa del 4 Luglio. Tutti partecipano, anche chi non è interessato al football: c’è lo show tra il primo e il secondo tempo, ci sono le pubblicità più belle e costose dell’anno, ci sono i gossip… . È una lunga domenica da passare con la famiglia, gli amici, i vicini di casa. Adesso sono lontano, ma i miei commilitoni sono la mia seconda famiglia: va benissimo vivere questo momento con loro, anche se sono a 7mila chilometri di distanza da casa». 

Il Super Bowl fa sentire gli americani tali, ovunque siano, e fa sentire americano chiunque. Almeno secondo le testimonianze della folta comunità di expat italiani che vive a San Francisco, città dei 49ers. Federico Spisani, bolognese, vive nella Bay Area da 9 anni ed è ormai piacevolmente abituato alla frenesia collettiva che si scatena nei giorni della finalissima. Ha trascorso la giornata in uno dei tanti food truck park in cui si sono concentrati i tifosi: «È molto divertente ed è impossibile non rimanere coinvolti, anche se del football non ti importa niente; io, per dire, so a malapena le regole e non mi interessa conoscerle. Una città frenetica come San Francisco, dove hanno sede la maggior parte dei colossi tech, si è fermata e si è riversata nei bar (sold out da settimane), nelle case degli amici e soprattutto negli spazi attrezzati con grandi schermi disseminati in tutta la città». 

Una partita di football dura in media 3, 4 ore, ma «durante il Super Bowl è impossibile annoiarsi – racconta Federico -. Io, per esempio, sono arrivato ore prima della partita, al mattino, e il prato era già gremito. Si chiacchiera, si guardano le persone agghindate con i colori della squadra, si mangia e si beve. Io sono sposato, ma per i single, oppure per chi è in città da poco, è un ottima occasione per fare nuove conoscenze». Ma negli altri giorni dell’anno, la palla ovale torna nello sgabuzzino: «Il football americano è uno sport lentissimo, molto gerarchico, militare. Ho imparato qualcosa del regolamento a forza di stare qui e sui giornali ci sono molte storie legate agli stipendi, al mercato, ai gossip. Ma il calcio è un’altra cosa: io seguo sempre la Serie A e poi ho organizzato una squadra di italiani con cui giocare contro le “nazionali” di altri appassionati come noi. Ovviamente con la maglia azzurra». Insomma, va bene lasciarsi coinvolgere dall’evento, ma sarà difficile trovare un italiano agitarsi per i Cardinals o i Giants

Per Liliana Lubrano, anche lei negli States da quasi 10 anni, il Super Bowl inizia prima, ma non per l’ansia della partita: «Una cosa che faccio sempre è andare al supermercato anche se non mi serve nulla. Adoro vedere la gente riempire i carrelli in vista della partita. Mi piace scoprire le ultime trovate di product placement e marketing in generale per spingere i prodotti associabili all’evento. Insomma nel supermercato si respira quell’aria frenetica di festa, tipica di ricorrenze come il Natale. Ogni paese ha le sue tradizioni ed io mi accontento” spiega, ridendo. 

Il giorno clou l’ha vissuto in famiglia, cioè con i genitori del compagno: «Sono la tipica famiglia americana. Prima del calcio d’inizio, come ad ogni finale, abbiamo fatto lo scatto di famiglia, tutti con la maglia dei 49ers. Poi l’inno americano, in silenzio, in piedi e con la mano sul petto, mentre io sbirciavo per capire chi avesse gli occhi lucidi. Si mangiano snack, si beve birra – dice Liliana, che invece lavora nel settore vitivinicolo – e non è mancata la salsa ufficiale del Super Bowl, il Velveeta Dip, un “blocco chimico” di formaggio cheddar a lunga conservazione sciolto con dell’altro scatolame nella ciotola degli snack. Per aggiungere un po’ di pepe e tenere alto il livello di attenzione si scommette sempre tra di noi, su questo punto o qualcos’altro. Io aspettavo solo lo show e le inquadrature su Taylor Swift!”.  

Il Super Bowl, più che una partita, è un lungo rito collettivo, durante il quale la superpotenza occidentale rinnova i suoi valori di appartenenza e patriottismo e celebra il suo marchio culturale ed economico con lo show tra un tempo e l’altro e le fastose pubblicità nel corso della partita. Un evento in cui gli americani non si sentono spettatori, bensì rappresentati al loro meglio. 

Un’ultima curiosità: l’edizione di quest’anno è stata la replica della partita del 2020 e anche l’esito è stato lo stesso. Andrà così anche per le presidenziali?

di Giulia Guidi

(foto ANSA)