La decisione del Governo Meloni di ritirare il Paese dall’intesa commerciale lanciata da Pechino ha scosso (anche) l’immaginario. Ma la realtà è diversa e niente affatto romantica

«E sappiate per vero che in Canbalu viene le piú care cose e di magiore valuta che ‘n terra del mondo, e ciò sono tutte le care cose che vegnon d’India – come sono pietre preziose e perle e tutte altre care cose – (che) sono recate a questa villa […] ché voglio che sappiate che ogni die vi viene in quella terra piú di 1.000 carette caricate di seta, perché vi si lavora molti drappi e ad oro ed a seta». Così, a cavallo tra il XIII e il XIV secolo, il mercante veneziano Marco Polo descriveva ne Il Milione l’antica Pechino, riempiendosi di meraviglia per l’enorme quantità di ricchezze che circolava lungo le strade della città. E, per stupire un veneziano dell’epoca, dovevano essere veramente straordinarie.

Anche se ne rappresenta il narratore europeo più celebre, Polo è solo uno delle migliaia di mercanti che hanno percorso la Via della Seta, il reticolo che si sviluppava per circa 8.000 chilometri costituito da itinerari terrestri, marittimi e fluviali, lungo i quali si erano snodati i commerci tra l’Impero cinese e l’Impero romano. Le prime testimonianze di scambi risalgono al periodo della dinastia cinese degli Shang (circa 1600-1046 a.C.) e la Via iniziò a prendere forma e a essere più documentata a partire dal periodo della dinastia Han (206 a.C. – 220 d.C.).

Dopo oltre duemila anni, alla fine del 2023, l’Italia ha annunciato l’uscita dalla Via della Seta. Al di là del dibattito economico e politico, i titoli hanno scosso l’immaginario culturale di ogni generazione cresciuta con il mito dell’esploratore-mercante, che sembra non aver perso né fascino né attualità. Ma è solo un grande equivoco.

Dopo secoli di guerre tra bizantini, turchi e persiani, che rendevano molto difficili i commerci tra l’Occidente e la Cina, l’espansione dell’Impero mongolo in tutto il Continente asiatico, dal 1215 circa al 1360, diede stabilità economica alla grande area e la Via della Seta visse il suo periodo di massima importanza.

Con la disintegrazione dell’Impero (appena qualche decennio dopo il passaggio del veneziano) la rotta perse la sua unicità politica, culturale ed economica, tornando a frantumarsi sotto i domini di principati locali essenzialmente di origine nomade, che traevano le loro ricchezze dal taglieggiamento dei commercianti e dal rapimento dei viaggiatori, da vendere come schiavi sui loro mercati. E la Cina, dopo la cacciata della dinastia mongola degli Yuan, si era chiusa su sé stessa, impedendo l’accesso a tutti gli stranieri, compresi gli occidentali.

Dopo 600 anni, nel settembre del 2013, il presidente cinese Xi Jinping lancia una nuova Via della Seta. Si tratta di un’iniziativa strategica per il miglioramento dei collegamenti commerciali con i Paesi dell’Eurasia. Comprende le direttrici terrestri della “zona economica della Via della Seta” e la “Via della Seta marittima del XXI secolo”, nota anche come BRI, Belt and Road Initiative o OBOR, One belt One road. Le aree interessate sono la Cina, l’Asia centrale, l’Asia settentrionale, l’Asia occidentale e i Paesi e le regioni lungo l’Oceano Indiano e il Mediterraneo, quindi anche l’Italia.

L’iniziativa fu lanciata contestualmente alla proposta di costituire la Banca Asiatica d’Investimento per le Infrastrutture, dotata di un capitale di 100 miliardi di dollari USA: Cina socio principale, con un impegno pari a 29,8 miliardi, gli altri Paesi asiatici (tra cui l’India e la Russia) e l‘Oceania con 45 miliardi. L’Italia si era impegnata a sottoscrivere una quota di 2,5 miliardi. Nel 2017, Paolo Gentiloni, allora presidente del Consiglio, propose per il progetto i porti di Venezia, Trieste e Genova. Nel 2019 il Governo Conte firmò il primo memorandum ufficiale di adesione.

La nuova Via della Seta è stata oggetto di forti critiche da parte dei Paesi non partecipanti. In risposta all’iniziativa, infatti, gli Stati Uniti, il Giappone e l’Australia hanno dato vita al Blue Dot Network nel 2019, seguito dalla Build Back Better World initiative del G7 nel 2021.

Non solo: il progetto cinese per l’Europa è più orientato all’import rispetto che all’export. La bilancia commerciale dell’Unione Europea con la Cina, infatti, è in negativo di circa 250 miliardi, un divario che si è ampliato negli ultimi 10 anni. C’è, quindi, il rischio di una “trappola del debito”, che mette in pericolo gli asset strategici, in caso di mancato pagamento da parte di un Paese.

Dopo aver definito l’adesione italiana “un grave errore”, a dicembre è arrivata la decisione ufficiale del Governo Meloni. Il mancato rinnovo del memorandum si basa su motivazioni economiche, perché l’intesa non ha prodotto i benefici attesi, e politiche, per superare l’anomalia di un legame così strutturato con il Dragone, unico caso nel G7, che aveva provocato non poche preoccupazioni da parte di Washington e Bruxelles.

Il realismo (e il cinismo) di un accordo economico, però, non può intaccare il fascino dell’antica Via della Seta, costellata di testimonianze e di meraviglie millenarie, firmate dalle diverse civiltà che l’hanno percorsa: ellenici, iraniani, indiani e cinesi. Nel 2014, l’UNESCO ha dichiarato l’intera rete di percorsi del corridoio Chang’an-Tianshan patrimonio dell’Umanità e la candidatura di altre strade è al vaglio.

E intanto i “Marco Polo” del nuovo millennio stanno lavorando per tracciare rotte commerciali disegnate sulla mappa del sistema solare, non più così lontano.