Ieri, oggi e domani: i 20 anni della piattaforma che ha saputo sbaragliare ogni concorrente, influenzando gli usi, i costumi e l’economia
“And that’s pretty much all there is to say”. Ci sarebbe stato molto altro da dire ma chi pronunciava quelle parole, il 23 aprile del 2005, ancora non lo sapeva. A parlare, in un video della durata di 19 secondi dal titolo Me at the zoo, era Jawed Karim. Quel video – e neanche questo allora lui poteva sapere – sarebbe passato alla storia come l’apripista di una piattaforma Web destinata a rivoluzionare il paradigma della fruizione e della creazione di contenuti audiovisivi: in una parola, Youtube.
Il dominio che, a distanza di 20 anni, tutti noi conosciamo e siamo così abituati a digitare venne registrato il 14 febbraio del 2005, il giorno di San Valentino, non a caso. Leggenda vuole – perché di una storia leggendaria parliamo – che i tre fondatori, gli allora dipendenti di PayPal (un altro che di rivoluzionare i paradigmi qualcosa ne sa) Steve Chen, Chad Hurley e il già citato Jawed Karim, volessero in origine dar vita a un sito di incontri chiamato Tune in, Hook up. Gli iscritti avrebbero dovuto creare e caricare sulla piattaforma un breve video di presentazione con la speranza di trovare l’amore, o almeno un appuntamento. Il progetto così come era stato concepito non andò mai avanti ma i tre, complice una buona dose di intuizione che non guasta mai, si resero conto di aver creato proprio quello spazio virtuale che allora, nel Web, mancava. A posteriori Chen e Hurley raccontarono di aver avuto difficoltà a caricare online dei video girati durante una cena, Karim invece di aver cercato online, senza risultati, video di eventi come lo tsunami che il 26 dicembre del 2004 colpì l’Oceano Indiano, uccidendo oltre 200 mila persone, o il ribattezzato “Super Bowl incident” del 2004, quando Janet Jackson rimase a seno scoperto durante lo show insieme a Justin Timberlake. A quale esigenza cercassero davvero di rispondere, oggi, poco importa: in 20 anni, infatti, Youtube ha fatto quello e molto altro.

Che si parli di musica, podcast, televisione, intrattenimento, social network, sport, cinema, educazione e chi più ne ha più ne metta, in due decenni Youtube si è distinto per la capacità di adattarsi, restare al passo con i tempi e le richieste degli utenti, rispondere alle crisi, modellare ogni aspetto della società in cui oggi viviamo. Nata durante il dominio di MySpace e agli albori di Facebook, la piattaforma si rivelò presto lo spazio ideale per tutti quegli utenti che si scontravano con le limitazioni tecnologiche di altri strumenti per caricare online i propri video e, soprattutto, per chi si affacciava al Web con il desiderio di renderlo proprio, non solo “subirlo”. L’anno di nascita era quello giusto, la via che avrebbe portato il Web 1.0 a trasformarsi in un Web 2.0 era già stata intrapresa, gli “user generated content” (UCG, contenuti generati dagli utenti) stavano diventando una realtà e i “prosumer” (“producer” e “consumer”) erano già tra noi. Su Youtube si sarebbero chiamati prima “vlogger” (da “videoblogger”), poi “Youtubers”, oggi li definiamo più genericamente “creators” e sono i protagonisti di un mercato che – secondo le stime di Goldman Sachs – vale oltre 250 miliardi di dollari: la creator economy. Perché sì, in 20 anni Youtube ha influenzato anche l’economia mondiale e lo ha fatto semplicemente sfruttando uno dei capisaldi del capitalismo occidentale, la pubblicità. Nel 2008, infatti, la piattaforma – che nell’ottobre del 2006, a poco più di un anno dalla sua nascita, era stata acquistata da Google per 1,56 miliardi di dollari – ha introdotto il Partners Program con l’obiettivo di monetizzare, a favore di se stessa e dei suoi utenti “creatori”, le inserzioni pubblicitarie. Il programma è attivo ancora oggi e secondo le stime nel 2024 ha prodotto a livello globale ricavi per 31,51 miliardi di dollari, ma tra il 2016 e il 2019 ha dovuto fare i conti con diverse crisi, le ribattezzate “Adpocalypse” (da “advertisement” e “apocalypse”). A determinare queste crisi sono stati tre fattori difficilmente conciliabili: libertà di espressione degli utenti, desiderio dei brand di non essere associati a determinati contenuti, potere della piattaforma di imporre delle linee guida per la monetizzazione dei contenuti. A molti Youtubers, in quegli anni, le regole per gli “advertiser-friendly content” (affidate a un algoritmo), che limitavano la loro capacità di guadagno, non piacquero e decisero di migrare verso altri lidi, come Twitch, Patreon o più semplicemente piattaforme di crowdfunding; intanto, però, Youtube doveva gestire la fuga dei grossi inserzionisti – come Coca-Cola e Amazon – e andò avanti nella sua gestione dei contenuti inaugurando, tra le altre iniziative, Youtube Kids.

Quella relativa alle inserzioni pubblicitarie non è stata certo l’unica grande novità messa in campo da Youtube negli anni: nel 2020, ad esempio, sono stati introdotti gli Youtube Shorts, brevi video in verticale che andavano a ricalcare l’astro nascente dei social, TikTok, e che oggi contano 70 miliardi di visualizzazioni al giorno. Non a caso Youtube è il secondo social network per utenti dopo Facebook. Oggi è anche, tra le altre cose: la piattaforma preferita per l’ascolto di brani musicali e podcast o video-podcast con due miliardi di ascoltatori contro i 600 mila di Spotify (che non a caso ha in tempi recenti aggiunto anche i video); il secondo motore di ricerca dopo Google; uno dei servizi di streaming più utilizzato su Smart TV, battendo Netflix e simili. Secondo i dati, infatti, ogni giorno gli utenti trascorrono sulla piattaforma in media 36 minuti di cui quattro da PC, 15 da smartphone e 17 da televisione, per una media di un miliardo di ore di contenuti visti dal “vecchio” mezzo.

Cosa rappresenta, oggi, Youtube? La risposta più semplice è, forse, tutto. Quale sarà il suo futuro, invece, possiamo solo immaginarlo, magari affidandoci alla lettera del CEO Neal Mohan, Our big bets for 2025: Youtube resterà “l’epicentro della cultura”, gli Youtubers stanno diventando “le startup di Hollywood”, la piattaforma è “la nuova televisione” e, soprattutto, l’“intelligenza artificiale renderà più semplice creare”. Lo scorso settembre, durante l’evento Made in Youtube a New York, l’azienda ha presentato nuove funzionalità tra le quali spiccano certamente quelle legate all’AI: Veo di Google DeepMind, evoluzione del già ampiamente utilizzato Dream Screen, permetterà di generare sfondi su YouTube Shorts; Youtube Studio verrà integrato con uno strumento di AI generativa per aiutare i creators a trovare nuove idee e ispirazioni; infine, è in fase di test una funzionalità per il doppiaggio automatico della lingua che, tra le altre cose, potrebbe imitare il tono e l’intonazione della voce originale.
Non sorprende che sia propria l’intelligenza artificiale al centro delle più importanti novità messe in campo dalla piattaforma, ma forse spaventa, soprattutto in relazione al sempre più diffuso fenomeno del “deepfake”. Nel necessario dibattito che seguirà, tuttavia, siamo certi che Youtube avrà ancora molto da dire.
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