Dietro l’addio di Donatella e l’acquisizione del brand da parte di Prada c’è l’ambizioso progetto di un maxi polo del lusso tutto italiano. Ne parliamo con l’esperta di Made in Italy Ornella Auzino

Lo sguardo terribile e magnetico, l’audacia sfrontata di una bellezza che provoca e pietrifica.  Apprestandosi a riscrivere la storia della moda, immaginando il volto del proprio brand, Gianni Versace si lasciò ispirare da Medusa, l’unica immortale delle tre gorgoni. L’autenticità del classico e il misticismo della trasgressione hanno accompagnato ogni singola fattura, ogni piccola cucitura firmata Versace che oggi attraversa il suo momento più delicato dopo l’assassinio di Gianni a Miami nel 1997: l’addio di Donatella che dopo quasi 30 anni lascia la Direzione creativa della maison di famiglia.

Donatella Versace al Festival del Cinema di Venezia nel 2018. SHUTTERSTOCK

La notizia non riguarda tanto e solo l’accoglimento delle prossime collezioni da parte di influencer e copertine patinate, ma ha un impatto reale sulla nostra economia che di Made in Italy si riempie molto la bocca e poco le tasche. Per comprendere i risvolti concreti del cambio di guardia ci siamo confrontati con Ornella Auzino, imprenditrice e produttrice di borse conto terzi, oltre che esperta conoscitrice e divulgatrice del vero Fatto in Italia. Mentre infatti gli occhi della finanza sono concentrati sul complesso risiko bancario in atto, un’altra partita di M&A si prepara a scombinare le carte nel settore della moda e del lusso. Le giravolte di poltrone tra i direttori creativi dei brand più illustri non sono che la punta dell’iceberg di un agitato fermento nel settore, e l’addio di Donatella Versace non è che l’ultimo terremoto mediatico in ordine di tempo – il primo a lasciare tutti a bocca aperta è stato Gucci con l’addio anticipato a Sabato De Sarno. Se infatti Donatella continuerà a rappresentare l’identità della Medusa in qualità di Chief Brand Ambassador, la vera rivoluzione in casa Versace è l’acquisizione praticamente data per certa da parte di Prada, che ha avanzato la sua offerta alla Capri Holding (la famiglia Versace e il fondo Blackstone avevano venduto le loro azioni di maggioranza al gruppo statunitense per 1,83 miliardi di dollari nel 2018). Il prezzo inizialmente richiesto da John Idol, ad di Capri Holding, era di 3 miliardi, poi sceso a 1,6 miliardi e, in pieno terremoto-dazi, infine chiuso a 1,25 miliardi.

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Partiamo dai dati macroeconomici. Il 2024 è stato un annus horribilis per la Capri Holding, per sua stessa ammissione “delusa dai nostri risultati”: l’ultima trimestrale ha calcificato una perdita dell’11,6% rispetto allo stesso periodo del 2023, con una perdita operativa di 590 milioni di dollari (e un utile netto in picchiata a -62%). A registrare il calo più pesante all’interno del gruppo statunitense è stata proprio Versace che ha chiuso l’anno con 193 milioni di ricavi, in flessione di ben 15 punti. Nell’esercizio per il 2025 chiuso a settembre, il fatturato del brand è dato a -28%, con tre milioni di dollari di perdite. A livello globale, è tutto il lusso a vedere contratti i propri volumi, ma il marchio regge peggio di altri. «Versace ha sempre rappresentato uno stile forte, iconico, a tratti irriverente, affermatosi grazie a una visione molto chiara e riconoscibile – ci spiega Auzino. – Tuttavia, in un momento di trasformazione dei consumi — il cliente cerca sostenibilità, autenticità e connessione con i brand — il posizionamento “forte” e molto caratterizzato di Versace può risultare più difficile da adattare». Se “alcuni marchi sono riusciti a essere più reattivi, rinnovando linguaggi e approcci”, pur mantenendo alta la qualità del prodotto la Medusa “ha forse sofferto di una visione meno fluida, più ancorata alla tradizione del glamour anni ’90. Oggi il mercato richiede un’evoluzione, non solo di prodotto, ma anche di comunicazione, valori e relazione con il cliente finale”.

A ispirare Gianni Versace era stata la Medusa Rondanini, una riproduzione tardo-ellenistica rinvenuta negli scavi di Reggio Calabria, patria e musa a sua volta dello stilista. Proprio come la gorgone, anche la donna di Versace era “troppo sexy, troppo sensuale, troppo sfacciata” come ricordava Franca Sozzani, leggendaria direttrice di Vogue Italia.

Tutt’altra musica in casa Prada che, rispetto alla crisi dei competitor, naviga controcorrente. L’azienda ha infatti appena celebrato un anno di crescita (+15%) con ricavi netti di 5,4 miliardi di euro. Esagera, nel gruppo, il brand Miu Miu che nelle vendite vola addirittura a +93%. Anche se si tratta di una crescita non sostenibile che “non può continuare a lungo”, come ha spiegato il CEO del gruppo Andrea Guerra, pare che Prada possa accogliere sotto il proprio ombrello anche Jimmy Choo, una “aggiunta” al carrello che porterebbe il valore complessivo dell’acquisizione a due miliardi. Non è, l’abbiamo detto, un’operazione di M&A qualsiasi: il progetto della famiglia Prada punta infatti alla creazione di un macro-polo del lusso italiano in grado di competere con i due giganti francesi (Kering e LVMH) che attualmente controllano praticamente tutto il mercato. Il progetto è tanto ambizioso quanto necessario: «la moda italiana ha sempre brillato per creatività, artigianalità e capacità imprenditoriale, ma ha spesso peccato nella capacità di “fare sistema”, – ci spiega Auzino a differenza dei gruppi francesi che, unendo marchi diversi sotto una regia comune, hanno costruito un impero e rafforzato molto la propria competitività a livello globale». Costituire un polo italiano del lusso, con una visione comune e un forte radicamento produttivo nel nostro Paese, “non crea solo un’alternativa, ma offre l’opportunità di rilanciare la centralità del Made in Italy nel mondo”, a patto che si perseguano “coerenza strategica, investimenti e rispetto delle identità dei singoli marchi coinvolti”.

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A proposito di rispetto delle identità, negli anni Versace ha costruito molto del proprio valore sull’italianità del prodotto, attraverso un controllo diretto su aziende di produzione e società di distribuzione, vantando una rete di operatori terzisti “esclusivamente italiani” e spesso molto specializzati. Ora “l’acquisizione potrebbe generare cambiamenti, sia per ottimizzare i costi che per armonizzare i processi interni con quelli del nuovo gruppo”, ammette Auzino. Tuttavia, “un progetto che punti alla valorizzazione del lusso italiano non potrà prescindere dal mantenere e rafforzare questa filiera, che è ciò che conferisce unicità al prodotto”. Al netto dell’auspicata fortificazione di una filiera produttiva nazionale, gli appassionati della Medusa si chiedono come questa acquisizione potrebbe trasformare anche la linea stilistica e creativa di Versace. Dopotutto, a sostituire l’insostituibile Donatella è stato chiamato lo stilista campano Dario Vitale, che proprio in Prada ha mosso i suoi primi passi, già design director e brand image director di Miu Miu. «Potremo assistere ad una contaminazione stilistica tra i due brand, ma più che di rivoluzione parlerei di evoluzione – prosegue Auzino. – Dario Vitali ha una visione molto contemporanea del marketing e della comunicazione, elementi fondamentali in questa fase». La sfida sarà raggiungere un equilibrio tra “il glamour di Versace e il minimalismo sofisticato di Prada” che, a differenza del brand calabrese, “ha costruito il suo successo sull’essenzialità, sulla sottrazione e su una visione intellettuale della moda”. Dopotutto, “la moda vive di contaminazioni” e la fase creativa che si prospetta all’orizzonte è accesa da una sfida: «rinnovare il brand senza snaturarlo». Amen.

Carla Bruni, Claudia Schiffer, Naomi Campbell, Cindy Crawford, Helena Christensen e Donatella Versace alla Milano Fashion Week. SHUTTERSTOCK

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Alle origini di Versace

A fondare l’azienda, nel 1978, sono Gianni e il fratello Santo insieme a Claudio Luti (oggi proprietario e presidente della Kartell). Donatella subentra in un secondo momento, e debutta in passerella nel 1988 con il marchio young Versus. L’affilatissima penna di Vanity Fair Ingrid Sischy raccontava che fu proprio Gianni a spingere Donatella a farsi la prima tinta bionda, all’età di 11 anni, folgorato dall’ammirazione per Patty Pravo. Dopo la morte del fratello, Donatella prenderà le redini dell’azienda, mentre Santo ha proseguito una lunga carriera politica – tra i suoi meriti, la legge Reguzzoni-Versace del 2010 che introdusse l’obbligo di tracciabilità delle lavorazioni tessili, disciplinando il Made in Italy su cui oggi poggia l’economia dello Stivale. Oggi Donatella vanta un patrimonio stimato di 400 milioni di dollari. Ha avuto due figli dal matrimonio con il modello Paul Beck, di cui Allegra, oggi responsabile dell’Ufficio Stile Versace.