In passato c’era l’archeologo. Oggi, invece, la storia si scrive anche grazie all’uso delle tecniche informatiche che sebbene siano di grandissimo aiuto nella ricostruzione dei reperti, non possono sostituire l’intuito umano
di Rossana Prezioso
Nel 79 d.C l’eruzione del Vesuvio distrusse le città di Pompei, Stabia ed Ercolano ma mentre la prima fu lentamente sommersa da una pioggia di lapilli roventi e cenere, Ercolano fu investita da una nube di gas rovente (con temperature comprese tra i 495° C e i 555° C) che portò all’immediato incenerimento di cose e persone. Questa differente dinamica spiega perché a Pompei si sono conservate le impronte delle vittime dell’eruzione mentre ad Ercolano non è rimasto nulla oltre a reperti inceneriti. Tra questi i più famosi sono i papiri della vasta biblioteca di un’antica villa patrizia ad Ercolano rimasti illeggibili. Finora.
Sì, perché grazie ad un ramo delle Digital Humanities la storia, e forse non solo quella, potrebbe essere cambiata. Si chiamano Digital Humanities (DH) e sono le ultime frontiere degli studi storici nate dall’incontro tra i grandi filoni di ricerca storica e le nuove tecnologie, in particolare l’AI, i sistemi di intelligenza artificiale e i modelli della teoria dei sistemi complessi come il machine learning (ML).
Ma cosa sono le Digital Humanities? Quando si parla di Digital Humanities (DH) ci si riferisce a quel ramo degli studi informatici che si dedicano principalmente alla ricerca in ambito filologico, letterario e, più in generale, umanistico. In Italia sebbene poco note al grande pubblico, hanno invece conosciuto ampia fortuna tra gli studiosi anche grazie all’enorme mole di materiale che proprio il patrimonio artistico e culturale dello Stivale può offrire.
Si tratta di strumenti che possono permettere la lettura di quelle iscrizioni antiche gravemente danneggiate o addirittura illeggibili come, ad esempio, i papiri di Ercolano. O per meglio dire i resti di quella che doveva essere una vasta biblioteca in un’antica villa patrizia ad Ercolano distrutta durante l’eruzione del Vesuvio nel 79 d.C.
In particolare, oggetto di una delle ricerche è stato il manoscritto, noto come PHerc. 172, conservato nella Bodleian Library di Oxford. Dall’analisi del reperto, infatti, si è potuto ottenere non solo la lettura di alcune parti del testo senza srotolare i papiri (ridotti a blocchi di cenere compatta e quindi impossibili da maneggiare) ma anche lo studio del testo. Una dinamica la cui logica di fondo potrebbe essere applicata anche in altri ambiti della letteratura come, ad esempio, la ricostruzione filologica oppure lo studio dei testi anonimi o i frammenti per l’attribuzione della paternità.
Metabolizzando al massimo il concetto, la decifrazione delle parole scritte è arrivata grazie all’uso di alcune tecniche di imaging e di ricostruzione fatta dai sistemi AI a loro volta applicati su una ricostruzione tridimensionale del rotolo stesso. A tutto ciò si è affiancato anche un esame del reperto per identificare le tracce di inchiostro e distinguerlo da quelle di carbone. Si tratta di un vero e proprio puzzle archeologico che, però, permette di ricostruire l’immagine del frammento come poteva essere originariamente.
Un’opzione interessante anche per i processi di digitalizzazione dei documenti storici anche se, fanno notare molti studiosi, non è del tutto eliminato il rischio di errori nella trascrizione che potrebbero influenzare se non compromettere le teorie storiche e i criteri di selezione dei documenti.
Non solo testi. L’Intelligenza Artificiale, infatti, è stata ampiamente usata anche per alcuni studi sulla pittura. Un esempio è il caso della Madonna della Rosa di Raffaello. Da tempo gli studiosi nutrivano dubbi sulla composizione dell’opera, in particolare sul fatto che Raffaello Sanzio non fosse l’unico autore. Sospetti che sono diventati certezza proprio grazie all’applicazione dei sistemi di analisi in ambito AI che hanno confermato come il volto della Madonna, il Bambino e San Giovanni siano stati effettivamente dipinti da Raffaello mentre quello di San Giuseppe no.
Un risultato che arriva anche grazie alla possibilità, per degli studiosi, di avere enormi quantitativi di documenti storici a disposizione attraverso la digitalizzazione massiva. In altre parole grazie all’AI dati di tutti i tipi, non solo testuali ma anche visivi, possono essere studiati con una precisione e da punti di vista finora difficili da acquisire. Tutto questo ha anche rivoluzionato il concetto di fonte storica. Infatti se prima ci si limitava a testi, reperti archeologici, quadri etc, oggi si può fare ricerca anche attraverso un pdf che permette di accedere a minuziose ed ordinate banche dati interconnesse. Non solo ma l’analisi della singola opera attraverso i sistemi di AI permette letteralmente una scomposizione dell’oggetto studiato. In questo modo è possibile segmentare, analizzare e annotare automaticamente enormi quantitativi di dati che precedentemente, con metodi manuali, non potevano essere gestiti. Inoltre si può migliorare e potenziare anche il sistema delle fonti a cui poter attingere. Una rivoluzione che riguarderà soprattutto i luoghi dove questi reperti e queste fonti sono solitamente conservati: i musei. Archivi e biblioteche, così come i musei, appunto, non saranno più solo un luogo in cui custodire in maniera passiva oggetti da studiare ma anche, se non soprattutto, un punto di incontro e dibattito per i ricercatori che, proprio grazie agli strumenti ed ai sistemi forniti dall’AI potranno disporre di una immensa mole di dati e nuove modalità di analisi.