riciclo terre rare

I materiali strategici, più o meno critici, hanno innescato un gioco di potere da cui dipende l’intera economia mondiale. Che cosa sono le terre rare e perché ne sentiremo sempre più parlare

Se il 2022, complice lo scoppio della guerra in Ucraina, è stato l’anno dell’approvvigionamento energetico e della diversificazione delle fonti, oggi a scuotere l’economia e la politica mondiale sono le cosiddette terre rare, più rare e contese che mai. Perché questi materiali stanno diventando il nuovo perno della geopolitica? 

Leggi anche La crisi delle Magnifiche 7

Il 16 aprile sono diventate operative le restrizioni imposte dalla Cina sull’esportazione di alcuni metalli appartenenti alla famiglia delle cosiddette terre rare: nello specifico, sarà necessario richiedere e ottenere licenze speciali per il commercio di 7 metalli appartenenti al gruppo delle terre rare (nello specifico samario, gadolinio, terbio, disprosio, lutezio, scandio e ittrio). La notizia ha dunque scombussolato i mercati ma soprattutto la geopolitica, poiché il ricatto di Pechino spinge inevitabilmente i Paesi verso la disperata ricerca di un’alternativa. Cerchiamo di fare chiarezza sulla natura di questi metalli partendo dalla distinzione essenziale tra materie prime critiche e terre rare, da non confondere.

Materie prime critiche e terre rare: la differenza

Le materie prime critiche sono elementi fondamentali per l’economia, data la natura dei loro impieghi, ma considerati “ad alto rischio di interruzione delle forniture”. Pensiamo al tungsteno, essenziale per consentire ai nostri telefoni di vibrare, o al boro con cui si costruiscono le turbine eoliche. In Europa l’elenco delle materie prime critiche è soggetto a revisione periodica da parte della Commissione europea, in ragione dell’European Raw Materials Alliance. L’UE ha individuato un gruppo di 34 materie prime critiche, di cui 17 materie prime “strategiche”, ossia materiali “di cui si prevede una crescita esponenziale in termini di approvvigionamento, che hanno esigenze di produzione complesse e sono quindi esposte a un rischio più elevato di problemi di approvvigionamento“. 

Lo studio della Commissione Europea sul fabbisogno di materie prime critiche, destinato a crescere nei prossimi anni. La previsione di domanda riguarda cinque settori strategici dell’UE (energie rinnovabili, mobilità elettrica, industria, tecnologie dell’informazione e della comunicazione e settore aerospaziale e della difesa)

Da questi elementi si distingue una terza categoria di metalli, quella delle cosiddette “terre rare”. Si definiscono tali 17 elementi chimici della tavola periodica che, per le loro proprietà conduttive, magnetiche e catalitiche, sono cruciali nella produzione di moltissimi dispositivi: batterie, circuiti, microprocessori e impianti di energie rinnovabili, oltre alle produzioni nei settori strategici quali difesa, tecnologie aerospaziali e la mobilità elettrica, dai semiconduttori ai droni ai pannelli fotovoltaici. Si tratta di cerio, disprosio, erbio, europio, gadolinio, itterbio, ittrio, lantanio, lutezio, neodimio, olmio, praseodimio, promezio, samario, scandio, terbio e tulio, principalmente presenti in natura sotto forma di minerali.

Approfondisci l’argomento con la nostra Rubrica di Educazione Finanziaria: Investire in Oro

A rendere “rare” queste terre non è tanto la loro disponibilità, quanto più la loro bassa concentrazione nelle riserve, che richiede processi di identificazione e quindi estrazione estremamente complessi e dispendiosi. La principale sfida delle terre rare non è quindi accaparrarsi più giacimenti possibili, ma massimizzare le tecnologie di estrazione di tali metalli. Ecco che tutte le terre rare sono da considerarsi “materie prime strategiche”, ma non tutte le materie prime strategiche appartengono alla categoria delle terre rare.

La provenienza delle terre rare importate dall’Unione Europea nel 2024 in % rispetto al totale, dati Eurostat

Questo contribuisce a spiegare perché sia così difficile per l’Occidente svincolare il proprio approvvigionamento di terre rare dalla produzione cinese, che non domina solo l’estrazione di questi metalli (per il 60% del totale secondo l’Agenzia Internazionale per l’Energia), ma gestisce anche il 90% della lavorazione mondiale di terre rare; rispetto all’Europa, la Cina è oggi il principale fornitore di materie prime critiche (44%) e il primo esportatore di terre rare (addirittura 98%). 

Dal canto suo, l’Europa detiene un primato inverso, che pure cela del potenziale nascosto: il Vecchio Continente è infatti il principale produttore di rifiuti elettronici al mondo, e non si tratta solo di fare di necessità virtù.

Potrebbe interessarti leggere anche Viva Versace

Terre rare e riciclo: il riuso dei materiali strategici

Il paradosso delle terre rare è tutto racchiuso qui: questi metalli sono considerati essenziali per lo sviluppo di tecnologie verdi, per la transizione ecologica e per lo sviluppo di soluzioni energetiche alternative. Allo stesso tempo però questi metalli portano con sé un elevato costo in termini ambientali e sociali.

Le criticità delle terre rare infatti non riguardano solo il complesso processo di estrazione e di lavorazione: ricavare questi materiali ha un impatto estremamente negativo sull’ambiente. La prima conseguenza di questi processi estrattivi è l’inquinamento idrico di falde e risorse idriche, nelle quali vengono riversati dei rifiuti tossici e radioattivi. Si stima che per ogni tonnellata di terre rare lavorate si producano circa duemila tonnellate di rifiuti tossici di scarto. A questa problematica si lega innanzitutto la formazione di cosiddetti “pozzi di assorbimento”, oltre ai rischi corsi dalla biodiversità negli ambienti estrattivi e al fenomeno dell’erosione del suolo.

Terre rare (ANSA/WIKIPEDIA)

È chiaro dunque come sia importante implementare una diversificazione degli approvvigionamenti di terre rare e materiali critici, ma allo stesso tempo è necessario ripensare l’intera catena in termini di sostenibilità. Come? Imparando anche a recuperare i rifiuti di scarto trasformandoli in risorse.

Dai un’occhiata anche all’approfondimento dedicato agli accordi Ue-Mercosur: Auto contro mucche

L’Italia, non tutti forse lo sanno, è campione nella raccolta differenziata in Europa. Per quanto riguarda lo smaltimento circolare dei rifiuti elettronici, invece, il nostro Paese si posizione ben sotto la media europea. Secondo un position paper realizzato da The European House – Ambrosetti per Erion, se Roma incrementasse la propria percentuale di rifiuti elettronici riciclati adeguandola alla media europea (39% contro 65%) potrebbe risparmiare fino a quasi 14 milioni di euro, oltre a tagliare le emissioni di CO2 legate alla produzione di oltre un milione di tonnellate.

Proteste di piazza in Malesia nel maggio 2011 contro la compagnia mineraria australiana Lynas e il suo progetto di costruire una raffineria di terre rare nello Stato del Pahang (con un investimento da 163,15 milioni di euro). Le comunità locali e i gruppi ambientalisti hanno evidenziato i rischi della gestione delle scorie radioattive prodotte (ANSA/EPA/SHAMSHAHRIN SHAMSUDIN)

I progetti di ricerca in tal senso non mancano. Per citarne uno, nel 2023 l’Università Bicocca ha promosso un progetto per recuperare le terre rare da dispositivi elettronici dismessi mediante l’utilizzo di un dispositivo poroso, anch’esso ricavato da scarti industriali, e molte altre sperimentazioni stanno testando catene estrattive più virtuose e soprattutto circolari. Ma non mancano iniziative virtuose in tal senso anche nel Lazio

Oltre al riciclo dei dispositivi, è importante continuare a sperimentare processi di recupero degli scarti. Va in questa direzione, ad esempio, uno studio recentemente pubblicato su Springer Nature secondo cui negli Stati Uniti sono presenti circa 11 milioni di tonnellate di terre rare, concentrate nelle ceneri di carbone del Paese. L’estrazione di terre rare da queste ceneri sarebbe addirittura avvantaggiata dal fatto che la combustione abbia già separato i metalli dal carbone e sfrutterebbe quindi un processo di lavorazione meno impattante.

Leggi anche Tangenti e regali: Pechino bussa all’UE

Con il Critical Raw Material Act, la Commissione Europea ha avviato 47 “progetti strategici” allo scopo di potenziare l’approvvigionamento delle materie prime dei Paesi, con un investimento di 22,5 miliardi di euro per migliorare l’estrazione, la lavorazione e il riciclo. I progetti approvati si concentreranno su magnesio, tungsteno, litio e cobalto, ma anche palladio, nichel, manganese, grafite. Il testo di legge prevede che entro il 2023 il 25% del fabbisogno europeo annuale di materie prime critiche sia ricavato da scarti riciclati.

La speranza è che la partita geopolitica non prenda il sopravvento su quella ambientale, e che il prezzo della corsa al reshoring delle estrazioni non sia pagato interamente dai nostri terreni, dalla nostra salute.

Potrebbe interessarti leggere anche La cometa DeepSeek

Crediti foto copertina: ANSA/ITELYUM