La ministra del Turismo Daniela Santanchè rimanda riflessioni e dimissioni mentre le opposizioni incalzano. Quando la giustizia detta i tempi della politica

«Sono una donna libera, porto i tacchi da 12 centimetri, ci tengo al mio fisico, amo vestirmi bene». Così la ministra del Turismo Daniela Santanchè si scherma alla Camera dei Deputati che, con una mozione presentata dalle opposizioni, chiedeva le sue dimissioni. Le dimissioni, per la verità, riguardavano le vicende giudiziarie che vedono la ministra indagata per falso in bilancio e coinvolta in altri due processi riguardanti società ad essa connesse. Le vicende giuridiche, però, sono meno appassionanti di uno scontro ideologico stantio per cui non nutriamo alcuna nostalgia.

La ministra del turismo Daniela Santanchè alla conferenza stampa Valorizzare l’’’Italia con il Governo Meloni a Milano (ANSA/MOURAD BALTI TOUATI)

Facciamo chiarezza. Attualmente la ministra è coinvolta, a vario grado, in due processi. Il primo riguarda Visibilia, gruppo editoriale co-fondato da Santanchè che, prima del suo commissariamento nel 2024, curava la pubblicazione di riviste come Novella 2000, Ciak, Visto, VilleGiardini e PC Professionale. Due i filoni percorsi dalla magistratura: il primo vede Santanchè iscritta nel registro degli indagati insieme ad altre 16 persone. L’accusa è di false comunicazioni sociali relative al periodo 2016-2020, dunque “plurime condotte di falso in bilancio” nonché “la commissione di altrettanti illeciti amministrativi”. Visibilia avrebbe truccato i propri bilanci in modo da insabbiare il dissesto patrimoniale in cui versava, così nascondendo le perdite agli investitori e continuando a percepire i profitti delle aziende attive del gruppo. A giugno del 2023, Report aveva diffuso la notizia della sua iscrizione, con annessa pronta smentita («affermo sul mio onore che non sono stata raggiunta da alcun avviso di garanzia» diceva in Senato) e riconferma (la ministra risulta effettivamente indagata già dall’ottobre 2022).

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Sempre all’interno del filone Visibilia emerge l’accusa forse più pesante per Santanchè, indagata per truffa aggravata a danno dell’INPS. L’ipotesi è che Visibilia avrebbe sfruttato i fondi Covid messi a disposizione per finanziare la CIG in deroga a 13 dipendenti, registrati a “zero ore” ma in realtà impegnati in attività da remoto oltre che rimborsati per “note spese”. Per sapere se verrà rinviata a giudizio per questo filone, bisognerà attendere l’udienza preliminare del 20 maggio (Santanchè ha aggiunto un legale al suo pool, ottenendo uno slittamento delle tempistiche). Infine, l’affaire legato a Ki Group, altra azienda nell’alveo Santanchè che, in quanto ex presidente e legale rappresentante dell’azienda di biofood, è indagata per l’ipotesi di reato di bancarotta.

Daniela Santanchè e il compagno Dimitri Kunz al 79esimo Festival di Venezia (ANSA/CLAUDIO ONORATI)

Al netto delle accuse che legano Santanchè e la Procura di Milano, al vaglio della sua condotta da imprenditrice, non è certo l’Aula il luogo deputato a verificare la legalità delle sue condotte. Volendo ulteriormente scremare l’elenco delle rispettive competenze, si potrebbe aprire un dibattito sull’etica pubblica e professionale che si richiede a un ministro della Repubblica, ma non esistono leggi tali da determinare la moralità della condotta in quanto tale. Lasciamo perdere anche che cosa ne pensa il pubblico, pardon popolo: secondo un recente sondaggio Youtrend per SkyTg24, il 71% degli italiani pensa che la ministra dovrebbe dimettersi, una percentuale che resta alta anche nei segmenti della sua stessa coalizione. Ma da quando la giustizia si tasta con i sondaggi? Infine, quanto all’opportunità politica di lasciare un incarico politico di rappresentanza se si giunge a processo per gravi accuse – prima tra tutte l’ipotesi di truffa ai danni di un Ente pubblico -, pare aver risposto per lei il suo collega di Partito, capogruppo di FDI alla Camera, Galeazzo Bignami, che in caso di rinvio a giudizio parla di “presa d’atto della necessità di rilasciare l’incarico non perché stia governando male il Turismo – dove anzi abbiamo dati assolutamente premianti – ma per garantire a lei la possibilità di difendersi nel modo più sereno possibile”. È a proposito di questi dati che ci compete, anzi urge, esprimere un giudizio sulla ministra Santanchè. E di premiante, per l’imprenditrice, in effetti c’è ben poco.

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A marzo Santanché rivendicava un “nuovo record, con 458,4 milioni di presenze, in aumento del +2,5% sull’anno precedente”. Si tratta effettivamente del picco più alto mai raggiunto, e riguarda il numero di notti di pernottamento effettuate dai turisti (per le quali siamo secondi in Europa), mentre il dato sulle effettive presenze arretra drasticamente (-3,7%, tra i peggiori risultati nell’UE). Guardando al contesto europeo in effetti, il turismo è letteralmente esploso nel 2024, tanto che la crescita italiana (il +2,5% di cui sopra) è tra le più basse dell’UE. Non solo: secondo il report dell’Istat riferito al 2023 le presenze, soprattutto straniere e concentrate nei tre mesi estivi, sono ampiamente oltre i livelli pre-Covid per le strutture extra-alberghiere, ma ancora a segno negativo rispetto al 2019 per gli alberghi. La promessa di abbandonare il metodo “figli e figliastri” per affitti brevi e strutture alberghiere, e quindi di uniformare un settore così cruciale e così disordinato, è oggi flebilmente appesa alla tiepida battaglia (o “riforma epocale”) del Codice CIN, che ambiva a mappare e stanare dall’abusività tutte le strutture ricettive. L’obbligo di registrazione per gli affittacamere (l’Italia è il primo Paese in Europa per micro-strutture ricettive) è scattato il primo gennaio, ma ad oggi manca ancora all’appello il 15% delle strutture già registrate, senza considerare l’incalcolabile sommerso della clandestinità che – sorpresa – non si è autodenunciato (“promuoviamo un approccio che non penalizzi gli operatori”, spiegava la ministra). Il timore è che in pentola non stia bollendo nulla. 

Daniela Santanchè alla chiusura della campagna elettorale di Fratelli d’Italia in piazza San Carlo, Milano (ANSA/MATTEO CORNER)

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A proposito di turismo, non bolle nulla nemmeno in tema concessioni balneari. La ministra si è schermata tanto dal dossier («non è una mia delega, ma di Palazzo Chigi») quanto dal conflitto d’interessi – non appena nominata ministra infatti, Santanchè ha intestato le sue quote del Twiga al compagno Dimitri Kunz. A gennaio, Flavio Briatore ha liquidato le quote di Kunz con 6,3 milioni di euro, con oltre un milione di “premio” aggiuntivo rispetto al valore. Nel frattempo, vige il caos normativo in quello che si conferma il “primo produttore di ricchezza derivata dal turismo del Paese” (analisi di Sociometrica su dati Istat). È stato “presentato” ma non ancora reso pubblico il decreto attuativo con cui il Ministero dei Trasporti definisce i criteri di indennizzo in favore dei gestori uscenti (e a carico di chi subentra), mentre, secondo una prima ricognizione Anci, “su circa 650 Comuni costieri, solo una 40ina hanno avviato le gare e in molti casi già si sono aperti contenziosi”. All’orizzonte, i nuvoloni neri dell’ormai strutturale mismatch lavorativo nel settore turistico preannunciano un’altra stagione difficile, per lavoratori e datori di lavoro.

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(ANSA/GABRIELE DE RENZIS)

La Pitonessa (secondo l’ex marito Paolo Santanchè, del quale ha mantenuto il cognome dopo il divorzio, il soprannome deriva da una barzelletta sconcia che la ministra amava raccontare), assicura che “farò una riflessione, ma lo farò solo con me stessa, non avrò nessun tipo di pressione, costrizione o di paventati ricatti”. Se il giudizio di legalità è legittimamente sospeso (e quello estetico è persino vetero-ideologico), occorre augurarsi che un giudizio politico, compreso il meno lusinghiero, sia ancora consentito.