Il movimento studentesco di proteste in Serbia dopo la tragedia di Novi Sad ha raggiunto le dimensioni di una vera e propria “disobbedienza civile” mentre Vučić, sorvegliato speciale UE, accusa le piazze

Una generazione di sfaticati, egoisti appallottolati sotto coperte di individualismo e insicurezze, assuefatti da algoritmi e anestetizzati dallo specchio. Scoraggiati. Chissà se è così che i sociologi del futuro descriveranno i giovani dell’oggi o chissà se invece, memori dei fiumi di studenti che da mesi marciano pacifici ma determinati in Serbia, avranno modo di ricordare questa generazione anche per la sua maturità politica, non necessariamente come novelli sessantottini, ma decisi a rivendicare che “le barricate chiudono la strada ma aprono la via”.

Per approfondire la situazione politica in Romania leggi Democrazia vera, democrazia fragile

Il più grande e compatto movimento studentesco (e non solo) europeo degli ultimi anni scoppia nella tragedia. Il primo novembre 2024 a Novi Sad, seconda città del Paese, il crollo di una pensilina della stazione ferroviaria uccide 15 persone, di cui un bambino di 6 anni. Lo shock è presto montato dalla rabbia che esplode dinanzi al rimpallo di responsabilità di istituzioni e aziende coinvolte in un recente restauro della pensilina (le cinesi China Railway International e China Communications Construction Company, in affari con il Governo serbo). Il 22 dicembre le proteste di massa deflagrano e bloccano il Paese, anche se la prima “blokada” universitaria risale già a fine novembre, a testimonianza di come l’onda madre dello tsunami sia partita proprio dalle scuole, studenti e insegnanti insieme (e avete un’altra definizione di futuro?). La corruzione emersa nella gestione delle infrastrutture infatti non è che l’ultima aspra ciliegina da digerire per il popolo serbo, che da 11 anni vive sotto il controllo sempre più accentratore di Aleksandar Vučić, leader del Partito Progressista Serbo (SNS), già premier dal 2014 al 2017 e presidente dal 2017, attualmente al secondo (e teoricamente ultimo) mandato. Il presidente si avvantaggia di un rigidissimo apparato partitico e clientelare per gestire la sfera politica e la società civile, tanto che nel rating annuale dell’ONG Freedom House la Serbia, ferma al punteggio di 56/100, è detta “parzialmente libera” a causa, soprattutto, di repressioni politiche e censure nei diritti civili.

Il 1° novembre 2024, alle 11:50, la tettoia sopra l’ingresso principale della stazione ferroviaria di Novi Sad, nel Nord della Serbia, è crollata uccidendo 15 persone. La struttura era stata inaugurata nel marzo del 2022 dopo i lavori di ristrutturazione iniziati il settembre precedente. Dopo la tragedia, tuttavia, il ministro delle Infrastrutture Goran Vesić, prima, e i rappresentanti del consorzio cinese che si era occupato dei lavori, dopo, hanno affermato che la ristrutturazione non aveva interessato la pensilina crollata. Crediti: EPA/MARKO KAROVIC

Già nel 2023 Vučić aveva dovuto convocare elezioni anticipate per placare le proteste esplose dopo due sparatorie di massa in due giorni – nella prima un 13enne ha fatto irruzione nella sua scuola, uccidendo 10 persone di cui 9 coetanei e un bidello, nella seconda un 21enne, con un’arma detenuta illegalmente, ha assassinato altri 9 giovani. Un filo rosso lega quindi le proteste in Serbia dei mesi scorsi e le imponenti manifestazioni che da settimane bloccano il Paese. Una marcia con decine di migliaia di studenti, cui poi si sono poi aggiunti media, sindacati, istituzioni culturali e persino amministrazioni locali, ha sfilato per 80 chilometri, da Novi Sad a Belgrado, non per chiedere le dimissioni di questo o la vittoria di quello – tanto che le proteste non fanno una piega neppure dopo il passo indietro del primo ministro Milos Vucevic, del ministro dei trasporti, del sindaco di Novi Sad. Mentre il Governo accusa i manifestanti, perlopiù studenti che trovano però il sostegno della società civile, dagli avvocati agli agricoltori, di essere finanziati da Stati esteri, nelle piazze non sventolano bandiere. Non si invoca il trionfo di un partito di opposizione, non il sostegno di un candidato indipendente, non l’ennesima politicizzazione dei conflitti – soprattutto quella. Nemmeno il nome di Vučić viene mai pronunciato. Più che una “mera” rivoluzione politica, quella in atto in Serbia è una disobbedienza civile e pacifica: Belgrado non trama per decapitare il corpus politicum, inteso come l’organismo costituito dall’insieme delle istituzioni, ma rivendica una nuova unità organica in cui le parti civili debbano rispondere alla Nazione, prima che al dirigente di Partito di turno.

Approfondisci la situazione politica in Bielorussia: leggi Tra il Belarus e la Bielorussia

Il popolo serbo del resto è avvezzo a marciare per i propri diritti. Nel 2019, dopo settimane di proteste in Serbia, il movimento Kremi-Pronemi (“muoviti e cambia”) era riuscito a bloccare la cessione alla Cina del giacimento di litio più grande del Paese (e d’Europa). Così come accade oggi, anche in quell’occasione Vučić aveva puntato il dito contro ingerenze di “agenti stranieri” e potenze occidentali, una trappola che sembra non funzionare a Belgrado, che non è Mosca e nemmeno Tbilisi o Bucarest. A dirla tutta infatti nemmeno le bandiere europee, così presenti nelle proteste di piazza in Georgia o Romania, sventolano nella “blokada”serba. La società ha duramente criticato il solido rapporto che Bruxelles ha costruito con Vučić, considerato interlocutore stabile e soprattutto necessario. «Non significa che popolazione sia anti-europea, ma che è delusa dall’UE» spiega l’analista politico del Belgrade Centre for Security Policy Srđan Cvijić a EuNews. Bruxelles dal canto suo ha il binocolo puntato sulla Serbia, nel percorso di adesione all’UE dal 2008, e ha già ammonito Belgrado sull’uso della violenza nella repressione delle manifestazioni, chiedendo un’indagine imparziale sugli episodi documentati e imputati tanto alle forze dell’ordine quanto ad affiliati del Partito nazionalista serbo del presidente (tra tutte, la sostenitrice del Governo che si è scagliata in auto contro un corteo di protesta silenziosa investendo una ragazza). Vučić, che in risposta alle proteste in Serbia ha annunciato la formazione di un nuovo Partito sullo stampo di Russia Unita di Putin, potrà almeno dire di aver distolto l’attenzione dai brogli documentati alle scorse elezioni. Cadono quindi nel vuoto le accuse degli osservatori internazionali che hanno denunciato irregolarità e pressioni sui candidati dell’opposizione, grazie al controllo dei media, tanto pubblici quanto privati, all’impiego di risorse pubbliche per gli scopi del Partito, persino ai votanti di altri Paesi trasportati al seggio in autobus.

Il presidente serbo Aleksandar Vučić al vertice UE-Balcani occidentali del dicembre 2024. Primo ministro dal 2014 al 2017 e presidente dal 31 maggio del 2017 e per un secondo mandato dal 4 aprile del 2022, Vučić ha guidato il Partito Progressista Serbo, nazional-conservatore, dal 2012 al 2023. Crediti: EPA/OLIVIER HOSLET

Sullo sfondo, aleggia neanche troppo silente l’irrisolta questione del Kosovo, da poco tornato alle urne per confermare un secondo mandato di Albin Kurti. Il premier non si è mostrato finora capace di instaurare un dialogo proficuo con il vicino Vučić, con Belgrado ferma nel non riconoscere l’istanza indipendentista del Kosovo e, ancora una volta, forti pressioni internazionali. Cavalcando i “sospetti espressi” da Trump sul lavoro dell’USAID, cui il tycoon ha congelato i fondi, la polizia serba ha fatto irruzione nelle sedi di quattro ONG che si occupavano di diritti umani e democrazia connesse all’Agenzia, aprendo un’inchiesta sul loro operato e servendo al popolo un assaggio amaro di futuro.

Chiunque ricordi l’esperienza italiana dei moti sessantottini sa perfettamente che dopo il terremoto la faglia si è spaccata in una voragine, e la rottura ha trasformato la voce del popolo nel terrore del popolo. La Serbia, di violenza, ne ha avuta abbastanza, e l’augurio è che lo tsunami sia lieve, che la disobbedienza civile ci indichi la strada per una rivoluzione gentile, ossimori permettendo.

In copertina: Crediti: EPA/DJORDJE SAVIC