L’associazione Viasna – Human Rights Center ci spiega come Lukashenko detenga saldamente il potere da 30 anni senza temere alcuna opposizione
Il 26 gennaio 2025 Alexander Lukashenko ha vinto il suo settimo mandato consecutivo da presidente della Bielorussia con l’87,6% dei voti. Non che qualcuno attendesse il dato con qualche forma di dubbio o speranza diversa.
Per andare oltre la solita percentuale calata dall’alto e capire come “l’ultimo dittatore d’Europa” detenga saldamente il controllo di tutto il Paese da 30 anni, ci siamo fatti raccontare le elezioni da Viasna – Centro per i Diritti Umani. L’associazione, nata in seguito al contestato referendum con cui Lukashenka ha esteso il mandato presidenziale da cinque a 7 anni, dal 1996 documenta e denuncia le forzature di un regime che tiene in ostaggio i diritti del suo popolo. Come? «Forniamo assistenza legale e supporto umanitario alle vittime di violazioni di diritti umani. Documentiamo casi di tortura, maltrattamenti e altri abusi durante gli arresti e le detenzioni. Monitoriamo attivamente le violazioni dei diritti umani e sosteniamo il rilascio dei prigionieri politici fornendo report dettagliati dei loro casi» ci racconta Sviatlana Halauneva, avvocata di Viasna.
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Quale opposizione?
Nel 2023 l’associazione è stata riconosciuta come “organizzazione estremista” dal Governo, e con loro chiunque collabori alle attività dell’organizzazione o effettui qualsiasi trasferimento di fondi o anche solo informazioni. Tra i fondatori di Viasna c’è anche Alex Bialiatski, considerato un “prigioniero di coscienza”, per due volte incarcerato per presunti reati fiscali e tutt’oggi in prigione per “attività che violano gravemente l’ordine pubblico” quali, appunto, il suo ruolo nel Centro per i Diritti Umani di Viasna. Nel 2022 l’autore è stato insignito del Premio Nobel per la Pace. La stessa sorte di Viasna tocca, purtroppo, a tutto lo spettro dell’associazionismo in Bielorussia.

«Il Governo non ha mai interrotto le purghe nel settore della pubblica amministrazione, dove qualsiasi forma istituzionalizzata di associazione di cittadini viene distrutta, sia che si occupi di politipca sia che riguardi altro (cultura, società, economia e religione) – ci spiega Halauneva. – A dicembre 2023, oltre 350 organizzazioni della società civile erano state chiuse. Dalla fine di settembre 2024, il numero di organizzazioni liquidate, comprese quelle che hanno deciso di chiudere autonomamente, sono almeno 1.803». Non stupisce che le associazioni messe al bando siano incrementate proprio durante la campagna elettorale.
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Alle elezioni hanno partecipato solo quattro Partiti. Che limiti sono stati imposti all’opposizione?
«Dalle ultime elezioni presidenziali del 2020, le autorità bielorusse – sotto la leadership de facto di Lukashenka -, oltre a schierare una brutale politica repressiva contro l’opposizione e ogni tipo di dissenso hanno introdotto una serie di modifiche della legge elettorale. In particolare il Parlamento, controllato da Lukashenka, ha introdotto il requisito della pre-registrazione dei Partiti così che, rispetto ai 16 di partenza, solo i quattro Partiti leali con il Governo sono potuti rimanere nel Paese per partecipare al voto. Tutti gli altri Partiti politici sono stati liquidati, alcuni leader sono stati incriminati e fatti prigionieri politici».
I nuovi prigionieri politici si sommano a chi sta già scontando la pena. Tra gli altri, sono ancora in carcere gli ex candidati alla presidenza Viktar Babaryka e Siarhei Tsikhanouski (condannati rispettivamente a 14 e 19 anni e 6 mesi), oltre a persone del loro team come Maryia Kalesnikava, condannata a 11 anni e rimasta incommunicado per oltre un anno, “il che equivale a una sparizione forzata” come ci spiega Halauneva, o ancora politici di opposizione detenuti dal 2020 come “Pavel Seviarynets, Mikalai Statkevich, and Ryhor Kastusiou e vari dissidenti“. Fare i nomi e raccontare le storie è uno dei pochi modi possibili per rendere giustizia ai detenuti politici.
Elezioni* in Bielorussia: la rivolta del 2020
Non sono mancate le denunce di intimidazioni…
«Nei nostri report, per parlare di queste elezioni*, abbiamo utilizzato l’asterisco per enfatizzare la natura sbrigativa e superficiale di questo termine. Delle vere elezioni infatti richiederebbero innanzitutto condizioni di pieno godimento di diritti e libertà, compresi la libertà di parola, la libertà di riunirsi e associarsi pacificamente, il diritto di prendere parte alla gestione della cosa pubblica, la libertà dalle discriminazioni. Tutti elementi concretamente assenti in Bielorussia oggi».
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Lukashenko governa incontrastato dal 1994 e le elezioni del 2020 sono ancora ricordate come uno spartiacque nella politica del Paese. I moti di protesta contro il regime innescati dopo l’ennesima elezioni antidemocratica sono anche ricordati come “rivoluzione delle ciabatte”: il blogger Tsikhanouski aveva infatti accostato l’immagine di Lukashenka a quella di uno scarafaggio, invitando i bielorussi a “schiacciare” la blatta, come si fa in casa, con le pantofole. Le accuse di corruzione nei confronti del Governo e l’arresto di volti noti dell’opposizione come il banchiere Babaryka e lo stesso Tsikhanouski deflagrarono in imponenti manifestazioni di piazza, che Lukashenko non ha esitato a reprimere nel sangue. Centinaia di feriti, arresti, torture e abusi sessuali, ma anche uccisioni hanno fatto seguito alle proteste. Negli occhi dei bielorussi è rimasta vivida l’immagine trasmessa in televisione di Lukashenka, in giubbotto antiproiettile e armato di un fucile d’assalto Kalashnikov, irridere i manifestanti “fuggiti come topi“. Dopo i moti di protesta del 2020, le autorità bielorusse hanno arrestato 65mila persone, chiuso oltre 1.700 organizzazioni della società civile e bandito tutti i partiti politici tranne quattro: Belaya Rus, il Partito Comunista, il Partito Liberal Democratico e il Partito del Lavoro e della Giustizia.

«Anche queste elezioni* si sono tenute sullo sfondo della profonda crisi dei diritti umani innescata dalla repressione delle proteste del 2020 – prosegue Halauneva. – La repressione oggi persiste e si è persino intensificata: le autorità continuano a perseguire arbitrariamente candidati, gruppi di interesse, osservatori, attivisti ma anche semplici cittadini preoccupati che, con una firma, supportino la nomina di candidati indipendenti. La retorica discriminante delle autorità, secondo cui le persone che non condividono la narrativa governativa sono “nemici”, non solo c’è ancora ma si fa sempre più spietata».
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È chiaro, alla luce di questo, come sia letteralmente “impossibile condurre una campagna elettorale libera e aperta nella situazione di terrore che stiamo vivendo: la lista dei prigionieri politici si aggiorna ogni settimana, e sono molto più dei 1.300 di cui si parla” denuncia ancora Viasna. Il godimento dei diritti politici da parte dei cittadini è del tutto negato. Inutile dire che anche “tutto il settore dell’informazione è stato oggetto di purghe; quasi tutti i canali media indipendenti sono stati costretti ad abbandonare il Paese, e la diffusione dei loro contenuti dall’estero è gravemente ostacolata dall’abuso politicizzato delle norme anti-estremismi”.
Avete riscontrato anche casi di compravendita di voti?
«Il regime di Lukashenka sfrutta i cosiddetti metodi “centralizzati” per manipolare i risultati delle elezioni. In questo caso quindi, strumenti di manipolazione come la corruzione, il pre-riempimento delle urne o i teatrini con le code di (finti) elettori non sono molto utilizzati dal regime: non ne hanno bisogno. La frode elettorale si verifica direttamente all’interno delle commissioni elettorali, che potrebbero anche non contare nemmeno i voti ricevuti. Le commissioni minori si limitano a ricevere istruzioni dall’alto su quale risultato comunicare. Questo è reso possibile anche grazie ad un’assoluta non trasparenza di tutti i processi, tanto al pubblico quanto agli osservatori, oltre che grazie all’anonimato dei membri delle commissioni elettorali».

Prigioni e altri strumenti
Avete assistito ad un aumento delle detenzioni politiche durante questa fase elettorale?
«Sì, nei mesi precedenti all’inizio della campagna elettorale abbiamo registrato un enorme numero di arresti, perquisizioni, interrogatori e intimidazioni contro tutti quelli che le autorità bielorusse definivano “non leali”. Sappiamo che, tra novembre e dicembre 2024, più di 1.400 persone hanno subito un qualche tipo di persecuzione politica» risponde Halauneva.
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«Alcuni hanno scelto la prigione, alcuni hanno scelto “l’esilio”, come lo chiamate voi. Noi non abbiamo cacciato nessuno dal Paese» ha ribadito Lukashenka nella conferenza stampa post-voto, precisando che “a nessuno è impedito di parlare in Bielorussia”, ma che il carcere è “per le persone che hanno aperto troppo la bocca, per dirla francamente, e che hanno violato la legge”. Non sono comunque mancati timidi segnali di apertura. Lo stesso Babaryko in carcere dal 2020 ha potuto riabbracciare la sua famiglia dopo oltre 630 giorni di silenzio. Allo stesso modo anche la sua ex collaboratrice, Maria Kolesnikova, dopo mesi di sparizione è riapparsa in una foto in cui abbraccia il padre. A condividere le foto dei due detenuti è stata un’altra ex vittima del regime come Roman Protasevich. Il co-fondatore del quotidiano Nexta era stato protagonista di un rocambolesco dirottamento aereo nel 2021, forzato da Minsk che pur di arrestare il blogger aveva inscenato un allarme bomba.

Nel 2024 Lukashenko ha rilasciato 227 prigionieri politici, naturalmente a seguito della loro richiesta di grazia e dichiarazione di pentimento. Il dittatore ha però subito chiarito che “non me ne frega nulla dell’Occidente”. Minsk è disposta a parlare con l’Unione Europea, non a “inginocchiarsi davanti a lei o strisciare ai suoi piedi”.
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L’UE e il futuro della Bielorussia
L’UE ha imposto una serie di sanzioni alla Bielorussia, condannando il suo coinvolgimento nell’aggressione in Ucraina, violazioni dei diritti umani e le elezioni del 2020, giudicate fraudolente e accompagnate da violente repressioni delle manifestazioni. A tal riguardo, dopo l’esito annunciato, Josep Borrell aveva chiarito che Minsk non era Kiev, e che in questo caso non si trattava di “scegliere tra la Russia e l’Europa“, ma di raggiungere “libertà e la democrazia” in quanto “valori fondamentali dell’Unione europea“. Pur non riconoscendo il risultato delle elezioni, “essi controllano il governo e noi dobbiamo continuare a trattare con loro“.
A seguito di questo deterioramento dei rapporti con l’Europa, nel 2021 Minsk ha annunciato il recesso dal partenariato orientale e la sospensione dell’accordo di riammissione. Nel frattempo l’UE sta anche preparando un pacchetto da 30 milioni per sostenere le forze civili e democratiche del Paese. Dal 2020 la Commissione ha stanziato 170 milioni per la popolazione bielorussa, fornendo assistenza legale e medica, borse di studio e sostegni alle imprese.
Pensate che Lukashenka proseguirà con la sua timida apertura al rilascio di prigionieri politici?
«Solo nel 2024, 536 nuove persone sono state riconosciute come prigionieri politici, e parliamo solo dei casi a noi noti di persecuzione. Nello stesso anno, solo 217 hanno ricevuto il perdono, cui si aggiungono cinque cittadini ucraini rilasciati come parte dello scambio tra Russia e Ucraina» ci racconta Halauneva.

«È quindi praticamente impossibile parlare di ridurre la repressione quando da un lato rilasci platealmente piccoli gruppi di persone mentre dall’altro continui ad arrestare in modo indiscriminato. Ovviamente, queste azioni sono mirate ad avvantaggiare in qualche modo il regime, ma l’impegno è così poco che il Governo non può trarne alcun beneficio. È anche plausibile che queste aperture siano una strategia indirizzata all’audience interna, che comincia ad essere stanca della repressione attiva. Anche per questo, è possibile che questo atto di pietà sia stato compiuto solo per migliorare la propria immagine prima delle elezioni*».
Qualunque sia il motivo che spinge Lukashenka, “ci auguriamo che il rilascio di prigionieri politici continui, a partire dalle persone in condizioni vulnerabili“.
Oggi il ruolo di leader dell’opposizione è incarnato da Svetlana Tikhanovskaja, moglie in esilio del blogger incarcerato e condannata in contumacia a 15 anni per cospirazione ed estremismo. Dopo lo scoppio del caos in Siria e la fuga di Assad, l’attivista, riconosciuta dalle opposizioni come vincitrice delle elezioni del 2020, ha voluto ricordare all’Europa che “le dittature sembrano invincibili finché non crollano all’improvviso”. A quel punto, “nemmeno un potente alleato può salvare un dittatore”. Nel frattempo, finché saremo costretti ad utilizzare l’asterisco non saranno di certo le elezioni a far crollare la sua dittatura.
Crediti della foto in copertina: ANSA/EPA/GRIGORY SYSOYEV/SPUTNIK/GOVERNMENT
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