Il digital detox non è una moda, né un vezzo elitario da ritiro radical-chic, ma una necessità
di Alessia Turchi
Da diversi anni, i social media sono diventati una componente fondamentale della nostra quotidianità. Sono con noi sempre, ovunque, spesso intrecciati al nostro lavoro, alle relazioni, alla costruzione della nostra identità. Dal momento in cui ci svegliamo a quello in cui chiudiamo gli occhi, troppo spesso il gesto finale è scorrere il feed di Instagram o controllare l’ultima notifica di WhatsApp.
Uniti ci sono 302,35 milioni di utenti “attivi”, e l’84% dei giovani tra i 18 e i 29 anni li usa ogni giorno. La Cina vanta oggi il numero più alto di utenti attivi sui social media, con 1,13 miliardi, e il periodo medio di vita online per un utente è di 147 minuti al giorno.
Queste cifre sbalorditive sottolineano l’enorme potere dei social media contemporanei. Ma è proprio nella loro pervasività che iniziamo a rilevare i primi sintomi di una crisi.
Viviamo nell’epoca dell’iperconnessione, dove ogni pensiero, ogni gesto, ogni attimo sembra dover passare attraverso uno schermo, con il nostro smartphone come compagno più fedele. Eppure, negli interstizi di questa routine digitale, qualcosa si incrina. Una forma di stanchezza silenziosa, quasi vergognosa, verso ciò che fino a poco fa sembrava imprescindibile.
In questa crepa si fa spazio un bisogno sempre più diffuso: quello di disconnettersi. Il digital detox non è una moda, né un vezzo elitario da ritiro radical-chic, ma una necessità che attraversa generazioni e stili di vita. È una pausa, più o meno lunga, dall’utilizzo dei dispositivi digitali, in particolare dai social network, per recuperare concentrazione, lucidità, ma soprattutto una forma di presenza autentica nel qui ed ora, un tentativo di salvezza dal confronto costante con le vite degli altri, dalla frammentazione dell’attenzione, dal senso costante di iperstimolazione.
Il digital detox racchiude la crescente insoddisfazione verso un modello di vita fondato sulla connessione continua. È il desiderio di sottrarsi, di ritrovarsi al di fuori del rumore costante, in un tempo che ci vuole sempre e costantemente raggiungibili, reattivi, performanti.
Possiamo parlare in tempo reale con chiunque nel mondo, condividere istantaneamente idee, emozioni, immagini. Ma a questa connessione perenne si accompagna spesso una solitudine crescente perché la comunicazione digitale non sempre genera relazione, spesso la frammenta, la svuota, la rende evanescente. Più condividiamo, più rischiamo di perderci, disgregati in mille immagini senza profondità.
La comunicazione digitale, nella sua velocità, erode lo spazio della riflessione, dell’ascolto, della profondità. Ed il tempo che dedichiamo agli altri – alla famiglia, agli amici, a noi stessi – finisce per essere interrotto da una notifica, da un aggiornamento, da un feed che non si esaurisce mai.
Il digital detox cela un fenomeno culturale più complesso come la disillusione crescente nei confronti del modello di vita iperconnesso. Perché se da un lato la tecnologia ci collega in modo impensabile, dall’altro ci scollega da qualcosa di essenziale come il corpo, la voce, la profondità dello sguardo, dal tempo per noi. Non si tratta di fuggire in montagna o sparire dal web, ma di trovare ritmi più umani, di ritagliarsi uno spazio per se. A volte basta poco: leggere un libro anziché scrollare il feed prima di dormire, fare una passeggiata senza il telefono, prendersi un’ora al giorno per stare senza schermi. Gesti piccoli, ma radicali.
Alla fine, il tema centrale è la presenza, non la performance. Quando il mondo intero onora la velocità e la visibilità immediata, semplicemente non apparire a volte è un gesto rivoluzionario.
Il piano di digital detox non risolve tutto — ovviamente no — ma può aprire una dimensione completamente nuova. Una di totale attenzione; di tempo completamente recuperabile; di relazioni non recitate attraverso il telefono o il video. In un mondo che corre verso la super tecnologia come un vecchio treno guadagna velocità su un binario rettilineo, muoversi lentamente diventa una delle forme di indipendenza. Disconnettersi non significa spegnere oggi. Significa ricominciare da capo, in un modo che si può inventare su una lavagna pulita. È inadeguato ed imperfetto, ma indiscutibilmente concreto. In questo modo ora potremo vedere le cose davvero per quel che sono.