Teheran torna a bombardare Beer Sheva. Danneggiato il reattore iraniano di Arak

La “resa incondizionata” chiesta da Trump non è nei programmi dell’Iran. Perlomeno non ancora. Il tycoon ha minacciato l’Iran avvertendo che “sappiamo dove si nascondeKhamenei. «Per ora non lo uccideremo ma la pazienza si sta esaurendo: si arrenda senza condizioni». La risposta di Teheran, lapidaria, arriva su X: «la battaglia ha inizio».

Tanto Tel Aviv quanto Teheran assicurano di avere il pieno controllo dei cieli nemici, né mostrano la minima intenzione di cedere a un cessate il fuoco. Persino la ripresa dei negoziati, che nelle prime ore del conflitto sembrava ancora in qualche modo possibile, pare adesso un miraggio. Da un lato la determinazione di Israele, dall’altro le parole di Javad Emam: «è impossibile essere sotto gli attacchi d’Israele, sostenuti dagli Usa, e sedersi allo stesso tempo al tavolo del negoziato».

Anche il ministro degli Esteri iraniano Abbas Araghchi ha voluto ribadire che “l’Iran non è disponibile a tenere alcun negoziato mentre continuano gli attacchi israeliani“. Pur chiudendo la porta agli USA, Araghchi oggi sarà a Ginevra dove interverrà al Consiglio delle Nazioni Unite per i Diritti umani e, successivamente, incontrerà gli omologhi di Francia, Regno Unito e Germania oltre all’Alto rappresentante UE.

Fumo dopo l’esplosione di un missile lanciato dall’Iran (Matan Golan/SOPA Images via ZUMA Press Wire)

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Contrattacco dell’Iran

Dopo che ieri una raffica di missili balistici iraniani ha colpito l’ospedale Soroka di Beer Shiva, in Israele, causando ingenti danni alla struttura, nella mattina del 20 giugno l’Iran è tornato a colpire la città meridionale. L’attacco ha provocato cinque feriti israeliani ma ha gravemente devastato il centro urbano e la stazione.

Secondo i servizi di soccorso Magen David Adom, i feriti dell’attacco all’ospedale sono almeno 130. Sempre ieri, missili iraniani hanno colpito anche anche Holon e Ramat Gan, provocando anche qui decine di feriti, e diversi edifici sono stati colpiti anche a Tel Aviv.

Israele annuncia invece di aver colpito il reattore iraniano ad acqua pesante di Arak, che era già stato evacuato per precauzione. Il reattore, a circa 240 km da Teheran, è stato fortemente danneggiato.

Gruppi di hacker filo-israeliani hanno disturbato la linea e sono persino riusciti a prendere il controllo della tv di Stato iraniana, arrivando a trasmettere per brevi momenti video delle proteste di donne iraniane per incitare la popolazione a insorgere. A seguito di questi attacchi, le autorità iraniane hanno completamente bloccato la rete, impedendo l’accesso ai principali siti web che sono dunque oscurati per tutta la popolazione.

Consensi e dissensi

Se la guerra ancora in corso a Gaza divide fortemente l’opinione pubblica israeliana, complice anche il capitolo ostaggi, non si può dire altrettanto rispetto all’attacco all’Iran. Per gli israeliani infatti la minaccia iraniana è vivida e concreta, e nell’operazione Rising Lion Netanyahu ha ritrovato quel sostegno popolare che, rispetto alle attività militari a Gaza, aveva del tutto perso.

Viceversa e similmente, anche l’opposizione iraniana dei riformisti, seppur depotenziati dal regime, si sono stretti attorno al Paese. L’attacco israeliano ha ricompattato dissidenti e fedeli di Khamenei

Musulmani sciiti protestano a Islamabad, in Pakistan, contro gli attacchi di Israele (EPA/SOHAIL SHAHZAD)

Più complessa la posizione degli Stati Uniti. In questo caso l’opinione pubblica è fortemente contraria a un ingresso in guerra del Paese, specialmente nel delicatissimo contesto mediorientale che molti spiacevoli ricordi porta alla memoria. Sono in particolare il mondo MAGA e i democratici a osteggiare una partecipazione statunitense, e lo stesso Trump ha fatto dell’isolazionismo e del non interventismo la sua cifra stilistica.

Il tycoon però non avrebbe ancora preso la decisione finale in merito. Alcuni opinionisti pensano che Trump potrebbe “approfittare” di quanto già fatto da Israele e accordarsi al carro cambiando, a quel punto, le sorti del conflitto. A partire dalla fornitura di missili bunker-buster con i quali Israele riuscirebbe a neutralizzare laboratori e magazzini di uranio interrati o protetti dalle montagne.

Iron Dome intercetta i missili lanciati dall’Iran (EPA/ABIR SULTAN)

Il vero obiettivo finale di Netanyahu, un regime change in Iran, pare condiviso anche dagli alleati europei che, nonostante le critiche alla conduzione delle operazioni a Gaza, in questo caso non condannano l’attacco israeliano. Il cancelliere tedesco Merz si spinge oltre, affermando che Israele “sta facendo il lavoro sporco per noi“, riferendosi al rovesciamento dei pasdaran e del regime, finanziatore di gruppi terroristici come Hamas ed Hezbollah. Come osserva Ugo Tramballi (ISPI), l’obiettivo di un regime change “è destinato a prolungare, non accelerare a guerra“, ma è destinato sprattutto “ad accrescere e non diminuire l’instabilità regionale“.

CREDITI DELLA FOTO DI COPERTINA: EPA/ABIR SULTAN