Kering licenzia il suo direttore creativo a due settimane dalla MFW 2025, lasciando tutti a bocca aperta. De Sarno e la difficile eredità di Michele
Nel film di Ridley Scott che ricostruisce le vicende legate all’omicidio di Maurizio Gucci (House of Gucci), il figlio del fondatore della maison Rodolfo, interpretato da Jeremy Irons, sostiene che “l’arte, come la bellezza, non ha prezzo“. Una lezione che dev’essersi persa per strada, nei meandri di qualche riunione di azionisti o tra le carte dei cachet milionari firmati dal reparto marketing dell’azienda. Dopotutto, non sono stati dei bozzetti “brutti” a far cacciare (le tempistiche utilizzate ci suggeriscano che sia questo il termine giusto da utilizzare) Sabato De Sarno. A determinare la partenza del direttore creativo sono invece state soprattutto le vendite, in drastico calo, né è da escludere che il progetto originale dell’azienda, che due anni fa affidava il proprio nome alla penna del designer, fosse proprio questo.

Al netto della cordialità di rito espressa nel comunicato dell’azienda, lo stylist viene licenziato con un tempismo quantomeno sospetto, a due settimane dalla Milano Fashion Week 2025. A differenza di quanto avviene solitamente, quest’anno non sarà Fendi a inaugurare le sfilate ma proprio Gucci che il 25 febbraio presenterà la sua collezione per l’autunno/inverno 2025: peccato che il défilé (che propone persino una sfilata unica per le collezioni uomo/donna) “sarà presentato dallo studio creativo di Gucci” come recita la nota dell’azienda, e non porterà quindi il nome dell’artista uscente a cui non è stata concessa nemmeno la sfilata di addio.
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Gli addetti alla moda si dividono in due categorie: quelli capaci di commentare i tessuti e quelli capaci di leggere i numeri. Per nessuno dei due il turnover in Gucci è stato un fulmine a ciel sereno, ma le rispettive motivazioni di entrambi, da sole, potrebbero non bastare a spiegare il licenziamento di De Sarno. Partiamo dai primi.
Gucci e il post-Michele
La direzione creativa dello stilista campano, durata appena due anni, è stata infatti costellata di polemiche rivolte tanto al suo stile quanto al concept dietro di esso. Per comprendere le critiche rivolte a De Sarno bisogna contestualizzare il suo arrivo in Gucci, dopo 7 anni di impero targato Alessandro Michele. E certo che reggere il confronto con quello che molti considerano lo stilista più rivoluzionario e incisivo dei nostri tempi non poteva essere facile.

Michele, chiamato nella maison fiorentina da Tom Ford in persona, ha abituato il pubblico di Gucci e non solo a vere e proprie collezioni d’autore: gli abiti che sfilano in passerella e persino quelli venduti nei negozi diventano espressione materiale di un concept strutturato e profondo, con venature filosofiche puntualmente narrate attraverso l’arte del ricamo, del tessuto, del taglio e dell’accostamento. Dal kitsch al barocco al pop, fra tavolozze sgargianti e androginismo, il massimalismo di Michele ha restituito alla moda la sua indipendenza rispetto al quotidiano atto del vestire: le collezioni dello stilista romano sono pensate per dare forma al concetto, che a sua volta trova una sintesi coerente anche nei pezzi commercializzati (un fatto, questo, tutt’altro che frequente per le grandi case di moda).
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In quattro anni, dal 2015 al 2019, le collezioni “difficili” di Michele hanno promosso uno storytelling accurato e impattante che ha permesso all’azienda di triplicare i ricavi e persino quadruplicare i profitti, con tassi di crescita trimestrali prossimi al +50%. La capacità di Michele di far sognare è stata sospinta sì dall’espansione nel mercato asiatico, ma anche e soprattutto da Marco Bizzarri, il ceo che lo ha voluto in Gucci e che con lui ha tracciato una strategia onnicomprensiva, apparentemente – e solo apparentemente – più orientata ad un prodotto artisticamente coerente che non al puro computo commerciale.
Quiet luxury: De Sarno prova il salto
La “bolla Michele” comincia a perdere aria già nel 2019 per scoppiare definitivamente con l’arrivo della pandemia di Covid. La fetta cinese del mercato di Gucci (ben il 30% del totale) comincia a chiudere i portafogli mentre i punti vendita dell’azienda (oltre 500 in tutto il mondo) cominciano a dimostrare la debolezza di un impero troppo condizionato dalle fluttuazioni internazionali e geopolitiche. Intanto, però, l’asticella degli azionisti di Kering, la holding finanziaria del lusso che comprende al suo interno Gucci e altri brand (tra cui YSL, Balenciaga, Bottega Veneta, Alexander McQueen, Ginori), ha continuato ad alzarsi nonostante la crisi globale e i risultati già consolidati.

Così, nel 2022 il sodalizio si interrompe e Alessandro Michele lascia Gucci per Valentino. A prendere il suo posto è Sabato De Sarno, giovane con esperienze importanti (in Dolce e Gabbana e da Valentino, dove ha allacciato una proficua collaborazione con Pierpaolo Piccioli da cui, qualcuno dirà, riprende sicuramente il minimalismo). Il suo nome è poco noto e le richieste del gruppo sono chiare: nuovi look, a prezzi più alti. De Sarno esaudisce la richiesta: senza alcuna continuità con il preziosissimo heritage raccolto da Michele, il “nuovo” Gucci sembra guardare ancora più al passato: alla sobrietà di Tom Ford, alle linee pulite e squadrate degli anni ’60, alle texture in rilievo.
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Chiusa l’era del concept e dei sogni ricamati, la collezione di De Sarno si incentra sui singoli prodotti, spesso attinti al catalogo degli affezionati, e su specifici trend di mercato. Nessun tema, solo sparuti riferimenti. Il problema è che, oltre allo storytelling, è anche e soprattutto la ricerca progettuale dietro ai capi a mantenersi pulita e sobria, più rassicurante che originale, così come la lavorazione dei materiali. Se una rinnovata semplicità quotidiana si è dimostrata apprezzabile e si ricollega forse ad un’idea più concreta di moda e vestibilità, pare evidente l’errore di calcolo nella brand strategy di Gucci che si ostina a investire milioni in campagne marketing per pubblicizzare un prodotto meno ricercato e sempre più caro.
La sfilata Spring/Summer 2025 di Gucci alla Milano Fashion Week settembre 2024 (ANSA-DPA/IK ALDAMA)
Con buona pace del povero De Sarno, che sperava di aiutare le persone a “sentirsi a casa ovunque si vada“, perché “a me interessa la gente”, è proprio la gente del target selezionato ad essere sbagliata. Il quiet luxury non scade nel vezzo della firma d’autore, mentre chi cerca la firma del brand brama un racconto da impersonare, non un capo da farsi copiare: la desiderabilità di un marchio dipende insomma anche dalla sua capacità di veicolare messaggi. Per gli appassionati, il passo dalle collezioni d’autore al ready-to-wear quotidiano non è stato breve né indolore, ma la colpa non è tutta (solo) della sobrietà di De Sarno.
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Kering: la crisi mai annunciata
Il dibattito sulla verve creativa di De Sarno offre interessanti spunti di attualità e cultura, ma da solo spiega poco la sua cacciata dalla maison, che è stata piuttosto lo specchio dell’umore non proprio ottimista degli azionisti detentori di quote Kering. Gucci, che costituendo i due terzi dei profitti dovrebbe fungere da ammiraglia, ha invece trainato il gruppo francese in una secca. Nel 2024 i ricavi si sono “fermati” (è comunque questione di punti di vista) a 7,7 miliardi di euro, con un fatturato in calo del 23%; mentre le vendite al dettaglio a gestione diretta sono diminuite del 21%, i ricavi wholesale sono crollati del 53%, a testimonianza di una selezione sempre più ristretta dei partner di distribuzione, mentre restano trainanti la pelletteria e gli accessori come conferma in una nota l’azienda.
In Kering soffrono anche Saint Laurent (-8%), Balenciaga e Alexander McQueen (entrambe in flessione di quattro punti), mentre persiste l’onda positiva di Bottega Veneta che seguendo il trend dei mesi precedenti registra +12% insieme al comparto accessori, dai profumi Creed alla gioielleria Boucheron e Pomellato. Quanto alle azioni del gruppo, negli ultimi cinque anni Kering ha perso il 60%, con cali del 40% registrati solo nell’ultimo anno. Il crollo del marchio fiorentino ha seguito una fase calante perdurata per tutto il 2024 che ha definitivamente dimostrato con plastica chiarezza quanto la strada intrapresa fosse, in qualche modo, sbagliata.

Anche questi dati però bastano e non bastano a spiegare l’addio a De Sarno, anche perché il gruppo, presentando i dati dell’ultima trimestrale del 2024, parla di “stabilizzazione” e di risultati “molto incoraggianti“: il licenziamento in tronco del direttore artistico del brand di punta, per la verità, è solo la più mediatica delle scelte fatte dagli azionisti che, dinanzi al mancato rispetto degli obiettivi, puniscono la dirigenza facendo sanguinare l’intero settore. È così che Gucci procede spedita verso l'”ottimizzazione” (dunque svendita?) del patrimonio immobiliare accumulato in anni di investimenti sproporzionati e, purtroppo, con ulteriori tagli alla produzione.
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La cacciata di De Sarno e le annesse disquisizioni stilistiche sulla sua narrativa hanno infatti oscurato altre notizie (forse) più significative, a partire dal continuo taglio delle commesse Gucci che sta mettendo in ginocchio i terzisti. A inizio febbraio un calzaturificio salentino diffuso tra Gagliano del Capo, Corsano e Alessano ha licenziato 120 persone su 335 lavoratori a causa della riduzione del carico di lavoro commissionato da Gucci, così come era già successo a Firenze dove, lo scorso settembre, l’azienda ha avviato un piano di cassa integrazione negli stabilimenti di sua proprietà. Queste fabbriche, il lettore lo sa, sono le prime depositarie di quel sapiente artigianato Made in Italy alla base del lusso di cui questo disgraziato Paese e i “suoi” marchi amano fregiasi, ma sono anche le prime a chiudere nel momento in cui la brand strategy attuata dai manager non si dimostra all’altezza dei loro stipendi. Secondo alcune fonti, a proposito, l’ex direttore creativo sarà accompagnato alla porta con un bonus di 18 milioni.
Chi sarà il prossimo direttore creativo di Gucci?
Il nuovo direttore creativo sarà nominato “a tempo debito”, anche se il toto nomi è già iniziato. Tra le ipotesi in ballo più accreditate ci sono l’apprezzatissimo Hedi Slimane, che ha recentemente lasciato la direzione creativa di Céline (e pare abbia appena comprato casa a Milano) e Kim Jones, che ha appena salutato Fendi. Dell’era post-Michele resteranno l’iconico brand color Rosso Ancora e imponenti campagne di marketing (dal reclutamento selvaggio di influencer agli investimenti immobiliari).

Quanto a De Sarno, lo ha detto lui stesso: «questo è il mio modo di sognare, senza fretta» scriveva nel manifesto della sua collezione autunno-inverno 2024, cogliendo “lo straordinario dove si dà per scontato che si trovi l’ordinario“, e questo “prima di sentirmi libero di allontanarmi alla ricerca di una prospettiva più ampia“. Il tempo della ricerca, per lui, inizia ora.
Crediti dell’immagine di copertina: ANSA/Li Jing/Xinhua via ZUMA Press
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