Una propaganda martellante, brogli riccamente documentati, finanziamenti illeciti e compravendite di voti non bastano a spiegare perché la Moldavia, in procinto di entrare nell’UE, rischia di tornare tra le braccia del Cremlino

«Errori infantili». È appesa a un filo la Moldavia, che rischia non di perdere la bussola, ma di fare inversione a U. 2,4 milioni di abitanti – meno di Roma -, i dati demografici peggiori dell’Europa (-40% in 30 anni), tra i Paesi più poveri del Continente. Eppure tanta voglia di Europa anima la popolazione che, pur polarizzata come forse mai, è stufa di dare tutta la colpa alla guerra e invoca una maturità che la classe politica stenta a dimostrare.

I candidati alla presidenza moldava Maia Sandu e Alexandr Stoianoglo durante un dibattito dello scorso ottobre: al secondo turno la presidente uscente ha battuto il rivale con poco più del 55% dei voti

La presidente uscente Maia Sandu ha strappato un secondo mandato all’ex procuratore del Partito Socialista filorusso Alexandru Stoianoglo, con il 55,41%. Nella stessa tornata però, il referendum che chiedeva di inserire nella Costituzione moldava l’ingresso nell’UE quale «obiettivo strategico» è passato per un soffio, 11mila voti. Anche se il quesito referendario aveva una valenza più politica che giuridica – la Moldavia ha già avviato il percorso di adesione all’UE -, il voto ha rappresentato una piccola non-vittoria per il Governo che resiste alla propaganda filo-russa ma perde troppi consensi per rappresentare un’alternativa sicura. La guerra che bussa alle porte (il Paese condivide un confine di quasi 1.000 chilometri con l’Ucraina) ha esacerbato tutte le contraddizioni che per semplicità erano state ridotte al solito fronte di chi per paura di Putin lo segue e chi, per lo stesso motivo, lo teme. La realtà però è molto più stratificata di così, a partire proprio dal rapporto con Mosca.

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Per i nazionalisti delle Repubbliche ex-sovietiche infatti non è così facile dichiararsi “filorussi”: non lo è per Sogno Georgiano, al Governo in Georgia dove il 20% del territorio è occupato dalle truppe russe (l’Abkhazia e l’Ossezia del Sud, separatisti non riconosciuti da Tbilisi), né lo è stato per Stoianoglo, che si è sempre detto fautore di una “equidistanza” fra UE e Russia (nonostante l’occupazione russa della Transnistria e nonostante, o forse proprio per, l’invasione dell’Ucraina). Eppure la propaganda del Cremlino è stata ancora capace di spaventare, convincere e quindi rassicurare la popolazione, anche grazie a un corposo programma di promesse da mercante, brogli e compravendite di voti documentati anche dal quotidiano Ziarul de Garda. Secondo la Polizia moldava, nel solo mese di settembre Mosca avrebbe spostato 15 milioni di dollari verso conti intestati a moldavi presso la banca controllata Russian PromsvyazBank. La cifra spesa sarebbe ben più alta e non proverrebbe dalla Russia ma dal conto corrente di un privato cittadino che legittimamente finanzia il proprio Partito: a rivendicarlo candidamente è Ilan Shor. Se la macchina della propaganda filorussa avesse un nome proprio, è così che si chiamerebbe: il miliardario, che ha ammesso di aver finanziato campagne mediatiche e manifestanti per protestare contro l’UE, oggi vive in esilio in Russia dopo essere stato protagonista di uno scandalo finanziario record – avrebbe illegittimamente sottratto un miliardo dalla Banca Centrale moldava per finanziare le sue società, un’accusa per cui non ha mai pagato e che non gli impedisce di muovere le fila della politica moldava anche da lontano. «Quattro anni fa, quando è arrivato il Partito filo-europeo di Sandu(il Partito di Azione e Solidarietà, ndr), le persone invocavano giustizia. Oggi il Governo ha fallito ogni azione in tal senso. Cosa pensa la gente comune? Che lo Stato sia impotente, incapace di agire, e che chi ruba resta impunito» ci spiega Simion Ciochină corrispondente per il Romanian Service del Deutsche Welle. E così mentre Shor passa una mano di bianco sui capi di imputazione che pendono sulla sua testa, il Governo “continua a cercare capri espiatori” e dimostrando la sua incapacità di intervenire non fa che indirizzare l’elettorato verso l’altra parte.

Simion Ciochină, corrispondente per il Romanian Service del Deutsche Welle. Per gentile concessione

Ricordiamoci poi che se un forte sentimento pro-Europeo rimane vivido nel Paese, non si può dire altrettanto per la NATO: l’Alleanza Atlantica non ha mai vinto le diffidenze dell’ex Satellite e oggi il 58% della popolazione sarebbe contraria all’ingresso nella NATO. Una posizione “non necessariamente dovuta alla guerra” ma radicata nella storia del Paese. Ad annacquare ulteriormente i colori della tela c’è anche la religione: «la Chiesa ha sempre giocato un importante ruolo nella vita socio-politica della Moldavia» ci spiega Ciochină. Nel Paese coesistono la Chiesa Ortodossa Rumena, filo-occidentale, e la Chiesa Ortodossa Moldava, vicina al Patriarcato di Mosca – emblematico l’incontro a ridosso delle elezioni tra gli ecclesiastici moldavi e propagandisti del calibro di Alexandr Dugin. «Una divisione che si riflette anche nella popolazione. Nel 2023 il 60% dei moldavi riteneva che il Paese dovesse restare nell’influenza del patriarca russo Kirill, una visione rafforzata dalla propaganda della stessa Chiesa». Durante la campagna elettorale, “alcuni preti dichiaravano che l’Europa è piena di gay e lesbiche e che se ci integreremo all’UE la famiglia tradizionale sarà distrutta”. La musica del Cremlino non è controbilanciata da altrettanto impegno politico della Chiesa moldava, che si è sempre mantenuta più distante dalla vita politica e sociale, né la politica stessa ha l’ardire di contrapporsi a un’istituzione così influente.

Al netto, per quanto possibile, di guerra, brogli e religione, il vero assist alla propaganda che vorrebbe allontanare Chişinău da Bruxelles lo sta quindi giocando proprio la politica, più precisamente la stessa salita al Governo con la promessa di portare i moldavi in Europa, lontano dalle lunghe dita russe. Non tutti i voti contrari a Sandu sono stati strappati da Mosca con la propaganda: «il popolo non capisce perché il Governo continua a inciampare in errori così infantili e fallisce nel completare le riforme promesse che tutti aspettiamo da anni fra giustizia, piani di sviluppo economico, abolizione dei monopoli nell’agricoltura, punizioni serie per chi ruba. Non si può dare la colpa di tutto alla guerra» nota Ciochină. L’Europa si limita a titillare il Governo alleato, elogiando le intenzioni e risparmiando le critiche, anche quando gli errori sono così “infantili”, come l’ammenda e la promessa di un rimpasto di Governo che però tardivo, inadeguato e beffardo si limita a rimescolare i protagonisti del disastro. «Temo che vedremo le vere ripercussioni di tutti questi passi falsi alle prossime elezioni parlamentari nel 2025». Più che di “ucrainizzazione”, è di “georgizzazione” che si comincia a parlare.

Transnistria al bivio

Dal primo gennaio 2025, i dotti ucraini hanno chiuso al gas russo e Gazprom smetterà di rifornire di gas a prezzi agevolati la Transnistria, regione separatista filorussa della Moldavia. Una catastrofe annunciata che rischia di lasciare al freddo una regione poverissima: «immaginate di pagare 100 mc di gas 5€ oggi e 1.800€ domani – prosegue Ciochină smentendo il dato diffuso da Mosca, che reclama 10 miliardi di euro di debito per Chișinău. – I cittadini moldavi hanno sempre pagato le loro bollette e non devono un centesimo alla Russia. La Transnistria, nonostante le agevolazioni, non ha mai versato quanto dovuto e oggi si pretende che sia la Moldavia a saldare il debito, qualche centinaio di milioni». Di nuovo, una catena di errori infantili. «Victor Parlicov (il ministro dell’Energia moldavo dimissionario, ndr) ha gestito terribilmente la situazione. Avrebbe potuto agire d’anticipo, acquistando stock di gas durante l’estate. Qualcuno però gli ha suggerito che il gas sarebbe stato più economico in inverno. Un errore ridicolo che oggi paghiamo tutti. Dopodiché è andato in pellegrinaggio a Mosca, ma solo per farsi umiliare dai capi di Gazprom». Le autorità separatiste sanno già come spiegare la crisi alla popolazione, intrappolata in un “regime totalitario gestito col pugno di ferro da ufficiali del KGB”. Più che proteste, dalla regione si attendono fughe oltre il confine.