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L’esclusione del candidato Georgescu dalle elezioni presidenziali in Romania ha sollevato molte polemiche e spaccato il Paese. Né dittatura né censura: Miruna Cajvaneanu ci spiega perché il corso della democrazia è accidentato ma necessario

Fino al 1989 in Romania parlare di un Paese estero era punito con l’arresto. Persino muoversi in un altra Nazione sovietica era complicatissimo. In 36 anni moltissime cose sono cambiate, e anche se la classe politica rumena ha deluso le aspettative, il popolo non ha mai dimenticato l’importanza dei principi costituzionali sui quali l’attuale Repubblica semipresidenziale è sorta. La lezione che la democrazia è una lotta quotidiana, da costruire dal basso e con i mattoncini della coscienza civile, è ancora viva nelle voci di chi protesta, ma anche e soprattutto nella tenacia di chi non cede al canto delle sirene. La confusione, mediatica e politica, è tanta nel Paese dopo la contestata esclusione di Călin Georgescu dalla corsa presidenziale. Cerchiamo di capire cosa è successo grazie alla giornalista romena corrispondente in Italia Miruna Cajvaneanu.

Miruna Cajvaneanu

Un breve riassunto per chi si fosse perso le puntate precedenti (qui il nostro approfondimento Caos Romania): il 24 novembre 2024 il candidato alle elezioni presidenziali Georgescu vince, del tutto inaspettatamente, il primo turno, passando al ballottaggio con il 22,3% insieme ad Elena Lasconi, esponente del Partito liberale progressista Unione Salva Romania con il 19,2%. Il secondo turno, in programma per l’8 dicembre, viene annullato: due giorni prima, la Corte Costituzionale rumena infatti rileva abbastanza irregolarità nella campagna elettorale (e non solo) di Georgescu che il voto è mandato a monte e rimandato al 4 maggio 2025 (primo turno). Nei confronti del candidato si aprono subito delle indagini, con capi di accusa molto pesanti, finché il 9 marzo l’Ufficio Centrale della Commissione elettorale rumena respinge ufficialmente la sua candidatura (e il suo successivo ricorso). Lo stesso giorno, centinaia di sostenitori di Georgescu si riversano davanti al palazzo della Commissione per una protesta che sfocia presto nella violenza, con i manifestanti intenti a lanciare pezzi di pavimentazione stradale alle forze dell’ordine. La tensione è tanta che i violenti vengono respinti con gas lacrimogeni.

Manifestanti protestano davanti alla sede della Corte Costituzionale rumena dopo l’esclusione della candidatura di Georgescu (Cristian Cristel/Xinhua/ZUMA Press)

A vederla da fuori, è facile percepire l’antidemocraticità dell’esclusione di un candidato votato da 2,1 milioni di elettori. La democrazia però non è calcolo aritmetico ma un sistema di Governo, e come tale non può funzionare senza regole. Democrazia è, invece, credere nelle regole prima e verificare il loro rispetto poi.

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Il candidato della discordia

Partiamo dalla base. Chi è Călin Georgescu?

«Georgescu si è presentato agli elettori come un candidato indipendente e anti-sistema, ma anche se i più non lo conoscevano io l’avevo visto arrivare, perché in realtà era perfettamente già inserito nel sistema. Nel suo curriculum ci sono molti aspetti oscuri, da lui mai chiariti. A partire dalla borsa di studio all’estero – un privilegio impensabile, se non con le giuste leve, prima della caduta del regime.

Calin Georgescu (EPA/ROBERT GHEMENT)

«Non dimentichiamoci che è stato anche consigliere per ministeri, e che il suo nome era persino circolato come possibile premier di un Governo tecnico. Inizialmente il Partito AUR [Alleanza per l’Unione dei Romeni, Partito sovranista di estrema destra guidato da George Simion, anch’esso candidato, ndR] aveva deciso di candidarlo, salvo poi dover prendere le distanze da lui dopo alcune dichiarazioni antisemite». Quasi un “favore” per Georgescu, che ha così modo di “ricostruirsi un’immagine pubblica e quasi salvifica”. Non un candidato qualsiasi, ma un “salvatore mandato da Dio a fare una “chiamata divina” (la campagna elettorale) per il “risveglio della coscienza”. Per alcuni dei suoi seguaci (il termine, a questo punto, è corretto) è praticamente un “messia”.

Legami pericolosi

Georgescu non ha chiarito i suoi legami, ma man mano che l’inchiesta avanza, e così la democrazia espleta il suo naturale corso, scopriamo di più sulla sua rete. È il caso di Horațiu Potra per esempio. «Anche Potra era sconosciuto ai più – ci racconta Cajvaneanu. Ha avuto una carriera da mercenario nella Legione straniera; poi, grazie a stretti rapporti con un famoso generale francese, è stato introdotto all’emiro del Qatar, del quale sarebbe stato guardia del corpo».

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«Dopo l’esperienza in Qatar è andato in Africa, a Goma nella Repubblica democratica del Congo, da mercenario, portando con sé altri romeni della Legione straniera, reclutandone di nuovi o convincendo militari a prendere congedo per unirsi al suo attivo, con la promessa di un alto guadagno che effettivamente poteva permettersi di pagar loro. In Africa, in servizio presso vari leader, ha continuato ad arricchirsi. Ufficialmente si occupavano solo di consulenze, esercitazioni e addestramento, ma secondo le accuse sono intervenuti in guerra schierandosi sul campo». Dopo le esperienze da militare, Potra ha accresciuto ulteriormente la sua ricchezza lavorando come consulente e intermediario. Proverrebbero da lì, secondo la sua difesa, i soldi in contanti trovati nella sua abitazione in un blitz della Polizia avvenuto dopo che Potra aveva già lasciato il Paese. Centinaia di migliaia di dollari in una cassaforte, impacchettati o avvolti in fogli di alluminio, oltre a un vero e proprio arsenale di guerra.

Proteste dopo l’annuncio della vittoria del primo turno delle elezioni presidenziali in Romania da parte del candidato Georgescu (EPA/ROBERT GHEMENT)

Attualmente su Potra, insieme a suo fratello e suo figlio, pende un mandato di arresto internazionale in contumacia. I tre farebbero parte di un gruppo accusato di lavorare a un colpo di stato per sovvertire l’ordine in Romania. «Potra è accusato anche di aver incitato le proteste delle folle, e anche se queste per il momento sono solo accuse, i suoi rapporti con Georgescu e le sue manovre sono sotto gli occhi dell’opinione pubblica, così come gli incontri clandestini con altri esponenti di gruppi nazionalistici ed estremisti, registrati mentre incitavano apertamente alla violenza». E non è che la punta dell’iceberg: «Dobbiamo fare attenzione a dipingere questi personaggi come outsider indipendenti. Si tratta di persone con lunghe braccia nelle istituzioni, con oscuri e profondi legami con l’establishment (tanto che tra le persone sotto inchiesta c’è anche un generale dell’Esercito). Non solo: questi gruppi sono a loro volta lacerati da guerre intestine, così come purtroppo accade nei servizi segreti, anche se queste lotte di potere sono tenute accuratamente lontano dall’opinione pubblica».

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Il ruolo di TikTok nelle elezioni in Romania

Torniamo a Georgescu. Il candidato non ha dichiarato nessun reddito o spesa per la campagna elettorale, alimentando la narrativa del politico “fuori dalla politica” che si fa da sé. Come è possibile? «Tutti i candidati alle elezioni erano dotati di un codice, da apporre sui loro contenuti per identificare la loro campagna e ricostruire il flusso di spese. A Georgescu è bastato non utilizzare mai questo codice». Le inchieste della stampa prima e della magistratura poi hanno permesso alla verità di emergere. «Il principale volano della candidatura di Georgescu è stato TikTok. La strategia perpetrata è stata talmente capillare ed efficiente che questa campagna è diventata un vero case study, come ha recentemente ribadito anche il Governo francese». Nelle sue linee guida in realtà, il social cinese chiarisce di aver “da tempo proibito la propaganda politica, inclusi gli annunci a pagamento e i creator pagati per realizzare contenuti politici sponsorizzati” nei riguardi di account riconosciutamente politici, quale è un candidato ad elezioni nazionali, così come sono vietate “sollecitazioni per la raccolta fondi della campagna elettorale”. I vertici di TikTok sono stati interpellati e “ci hanno aiutato a tracciare una parte di questi soldi. Sono stati confermati pagamenti anche nei contenuti che non venivano segnalati come elettorali o politici. Purtroppo solo una parte di questa propaganda è stata rintracciata, dato che dopo il primo turno molti contenuti e account sono stati cancellati”.

George Simion, leader dell’AUR (EPA/ROBERT GHEMENT)

Pare infatti che già da luglio 2024 siano proliferate decine e decine di account (principalmente bot o profili falsi), rimasti dormienti fino al momento di alimentare la propaganda. Nella pratica, centinaia di account di influencer hanno ricevuto denaro e copioni da recitare per promuovere Georgescu attraverso contenuti scritti per diventare virali. La maggior parte di questi influencer ha dichiarato di non sapere da dove provenissero quei soldi, in alcune occasioni ricevuti in offerta durante le live da profili sconosciuti, e “sostengono di essere stati in qualche modo manipolati a loro insaputa”. Per 100 o 200 euro, gli influencer sono stati protagonisti “inconsapevoli” della sua campagna elettorale: «alcuni pensavano di promuovere il diritto di voto, la partecipazione e l’elezione di un rappresentante onesto». 

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Le accuse contro Georgescu

La magistratura sta seguendo il corso del denaro per risalire ai finanziatori; un ricco imprenditore rumeno ha già ammesso di aver contribuito a finanziare le campagne di Georgescu. Dalle intercettazioni risultano anche conversazioni in cui Potra gli promette dei soldi, ma sono state raccolte anche foto e video che li ritraggono insieme. In alcune intercettazioni, Potra chiede esplicitamente al suo contatto se avesse incontrato Georgescu a cui doveva consegnare 10mila dollari, in altre il candidato chiede “supporto” entro il 24 novembre, giorno delle elezioni, e gli viene risposto “continuiamo come sempre“. Georgescu, che inizialmente aveva smentito di conoscere il mercenario, ha dovuto ritrattare contraddicendosi ma senza addurre spiegazioni. Al momento, Georgescu è accusato di false informazioni e false dichiarazioni in forma continuata, promozione pubblica del culto di persone colpevoli di crimini di genocidio contro l’umanità e crimini di guerra, istigazione ad atti contro l’ordine costituzionale, costituzione di organizzazione a carattere fascista, razzista o xenofoba e avvio di organizzazione a carattere antisemita. Sei accuse che gli hanno precluso l’accesso alle prossime elezioni, poiché secondo l’Ufficio Elettorale Georgescu avrebbe “violato l’obbligo di rispettare la democrazia”.

Nemici e alleati: gli altri Partiti al bivio

Nello spettro parlamentare, Georgescu non è l’unico aspirante leader della destra a contendersi lo spazio sovranista ed estremista; alle elezioni parlamentari del primo dicembre i Partiti di estrema destra hanno complessivamente raggiunto il 31%. Il principale resta l’AUR di Simion, al 17,8%, che dopo l’esclusione di Georgescu ha invitato a “scuoiare in piazza” i responsabili del “colpo di Stato”. Ci sono poi SOS Romania, dell’eurodeputata Diana Șoşoacă (7,2%) e il Partito della Gioventù (POT), un nuovo Partito fondato da Anamaria Gavrilă (6,3%), entrambe fuoriuscite dall’AUR. Dopo il primo turno, Simion e Gavrilă avevano annunciato il sostegno a Georgescu. Dopo l’esclusione del candidato, entrambi hanno ripresentato la propria candidatura promettendo però che avrebbe corso solo uno dei due (il timore che la Commissione possa rigettare anche la loro partecipazione è evidentemente concreto). 

Diana Șoşoacă si mostra con dei guantoni da boxe all’uscita dall’Ufficio Elettorale Centrale, dove ha nuovamente tentato di registrare la sua candidatura alle elezioni presidenziali (EPA/ROBERT GHEMENT)

Per quanto riguarda Șoşoacă invece, la sua candidatura era stata inizialmente bloccata a ottobre 2024 a causa delle sue dichiarazioni incostituzionali. «Șoşoacă è un avvocato e ha iniziato a guadagnare popolarità durante la pandemia. No-vax convinta, è stata protagonista di provocazioni teatrali e toni molto violenti; la ricordiamo con i sacchi della spazzatura in mano, mentre dichiarava che “questi sono i vostri morti”. La sua retorica, per la verità, è spesso affine a quella di Giorgia Meloni, con posizioni nette su cristianità, maternità e sovranità, e ha attecchito su molte donne della diaspora, anche qui in Italia» ci spiega Cajvaneanu. Șoşoacă non ha mai fatto segreto delle sue simpatie, “quando si recava a portare mazzi di fiori sulle tombe dei Legionari della Guardia di Ferro [movimento fascista al potere insieme al generale Antonescu tra il 1940 e il 1941, ndR] o in tutte le occasioni in cui si è recata in visita all’ambasciata russa». La sua posizione, così come quella di tutti i candidati di estrema destra, è nettamente contraria a un intervento in sostegno dell’Ucraina. Il 13 marzo, Șoşoacă ha tentato nuovamente di registrare la sua candidatura, venendo però respinta per la seconda volta dalla Commissione Elettorale Centrale, che invece ha riaccolto anche stavolta l’iscrizione del candidato Simion.

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Quanto agli altri Partiti, al netto delle forze di estrema destra, solo la candidata Elena Lasconi ha criticato la decisione di escludere Georgescu. Lasconi, leader dell’USR (Unione Salvate la Romania), era passata al secondo turno insieme a Georgescu con il 19,2% (contro il suo 22,3%). «Lasconi ha espresso una posizione controcorrente, ma coerente in termini democratici. È una situazione straordinaria per la Romania ed è comprensibile che possano sollevarsi critiche in tal senso». Dopo la bocciatura del ricorso, Georgescu ha parlato di “tirannia” e “dittatura” in Europa. Dall’Italia, si è accodato alle critiche anche Matteo Salvini, che ha parlato di un “euro-golpe in stampo sovietico”, mentre i cittadini rumeni “sono stati derubati del loro diritto di voto”. Anche Matteo Renzi si è distinto dal coro, definendo l’esclusione di Georgescu uno “scandalo totale” perché “la democrazia si difende nelle urne, non dalle urne”.

La candidata alla presidenza della Romania Elena Lasconi (EPA/ROBERT GHEMENT)

Una certa influenza in queste elezioni è stata attribuita anche alla Chiesa Ortodossa. Il clero ha mantenuto posizioni ufficialmente neutre ma, così come accade anche nella vicina Moldavia, nella pratica molti rappresentanti, anche ad alto livello, hanno appoggiato Georgescu. Tra tutte, la fazione legata all’arcivescovo Teodosio di Tomi (Arcidiocesi che oggi fa capo alla città di Costanza) che ha espresso posizioni apertamente filo-russe e, nonostante vari ammonimenti dal vescovo, non è mai stato punito. Teodosio è arrivato a definire Georgescu un “inviato di Dio.

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Elezioni in Romania: cosa sarà

Secondo un dato statistico diffuso, Georgescu godrebbe di un gradimento del 40% tra la popolazione. Ancora una volta, la democrazia deve imparare a difendersi dai numeri. «Da queste elezioni abbiamo imparato che anche i maggiori istituti di indagini statistiche non sono così attendibili, anzi possono prendere grosse cantonate – ci spiega Cajvaneanu-. Di certo, Georgescu è riuscito a intercettare il malcontento della popolazione nei confronti della classe politica, troppo spesso protagonista di scandali e cronache criminose». 

Per aiutarci a comprendere cosa succederà, guardiamo uno dei principali cavalli di battaglia della campagna elettorale di Georgescu e dei suoi alleati: la NATO. La Romania fa parte dell’Alleanza Atlantica dal 2004 e nel Paese sono presenti due basi NATO, mentre altre due sono in costruzione. Tra quelle già attive c’è anche la base aerea Mihail Kogălniceanu, oggetto di un restyling che la renderà il più grande avamposto NATO in Europa. Sita in una posizione strategicamente vicina al confine con l’Ucraina e la Crimea, con un investimento di 2,5 miliardi di euro la base sarà ampliata e la struttura arriverà a ospitare 10mila militari con le rispettive famiglie. Georgescu ha duramente criticato il progetto durante la sua campagna elettorale.

Un supporter di Georgescu protesta davanti all’Ufficio Elettorale Centrale di Bucarest dopo l’esclusione del candidato (EPA/ROBERT GHEMENT)

«Un sondaggio effettuato a dicembre sull’opinione pubblica condotto dall’Istituto di ricerca INSCOP Research per l’ong Funky Citizens, ha confermato che l’88% dei romeni è contrario all’uscita dall’UE, un dato in crescita rispetto al 2022, e l’88,1% è contrario ad abbandonare la NATO». Un segno che la guerra fa paura, ma mai quanto l’isolamento internazionale o il ritorno sotto l’influenza sovietica. Nel frattempo, per affrontare sfide inedite (e l’info-war in corso è certamente una di queste), la Romania si doterà di un’ordinanza d’urgenza atta a “bloccare la diffusione di contenuti falsi, illegali o manipolatori sulle piattaforme online”. Trattandosi di uno strumento inedito, la legge è stata discussa con i principali rappresentanti di TikTok, Google, Meta, X, e delle ong, oltre a essere discusso anche con la Commissione Europea per assicurare il rispetto dei diritti dei cittadini.  «La verità è che siamo sotto attacco in una guerra ibrida che si porta sul campo dell’informazione, siamo vittime ma non abbiamo ancora sviluppato modalità di difesa adeguate contro fake news e narrative, che possono davvero essere efficaci come abbiamo visto – commenta Cajvaneanu – . Da questo punto di vista, una legge del genere mi sembra un’arma utile, ma che va utilizzata con grandissima cura e correttezza».

La strada verso la democrazia è in salita, ma la popolazione ha dimostrato di saper comprendere le storture del sistema. L’anticorpo più efficace? Una coscienza comune, consapevole e informata.

Crediti della foto in copertina: EPA/ROBERT GHEMENT