L’eredità del genio della fisica più famoso al mondo continua a influenzare la scienza moderna. Tra la teoria della relatività e l’effetto fotoelettrico, la storia e le curiosità su Albert Einstein
“Non ci vuole un genio”; “Non sono mica Einstein”. Quante volte vi è capitato di sentire o di pronunciare queste frasi? Quante volte vi siete chiesti come alcune persone possano essere nettamente più intelligenti rispetto alla media? È una domanda che si è posto, agli inizi del ‘900, anche il medico Thomas Harvey prima di essere accusato di essere un “ladro” per aver rubato, una volta deceduto, il cervello di Albert Einstein, il più grande fisico del XX secolo e, ancora oggi, uno dei punti saldi della cultura scientifica e filosofica.
Albert aveva chiesto di essere cremato una volta morto, e così venne fatto, tranne che per il suo cervello, che venne rimosso e conservato per oltre 50 anni da Harvey, il quale sostenne più volte di aver compiuto un gesto “in nome della scienza”. Così, il medico statunitense, dopo essere stato licenziato in tronco dal Princeton Hospital, venne assunto dall’Università della Pennsylvania. Nell’istituto dissezionò la materia grigia del fisico tedesco in 240 pezzi, la conservò nella celloidina e poi la inviò, in campioni di tessuto cerebrale, a diversi ricercatori. Analizzò a lungo la ricchezza che aveva tra le mani, per arrivare ad una conclusione: non c’era dubbio, il cervello di Einstein era diverso. Era presente un rapporto anormale tra due tipi di cellule, i neuroni e le cellule gliali; vi erano connessioni nervose straordinarie, in particolare quelle che collegano un emisfero cerebrale all’altro, un collegamento nervoso che oltre a trasmettere le informazioni necessarie alla coordinazione motoria, è anche coinvolto nei processi cognitivi. Un cervello così speciale e diverso, quello di Einstein, che più volte venne richiesto dall’esercito statunitense, il quale temeva che sarebbe finito nelle mani dei sovietici. Thomas Harvey però lo tenne con sé fino alla morte, esattamente nella cantina di casa. La sua divenne una vera e propria ossessione.
Albert Einstein venne catalogato come una delle menti più brillanti del mondo della fisica al punto tale che fu spiato per moltissimi anni dall’Fbi. Fisico tedesco, naturalizzato statunitense e svizzero, nacque ad Ulma nel 1879 da una famiglia di origine ebraiche. Nel 1905 completò gli studi con un dottorato a Zurigo, dove insegnò per circa 15 anni, per poi spostarsi a Berlino e diventare membro dell’Accademia Prussiana delle Scienze. Fu proprio nella capitale tedesca che ebbe la conferma sperimentale della sua teoria sulla relatività generale grazie all’eclissi solare del ‘19. E poi due anni dopo il premio Nobel per l’articolo sull’effetto fotoelettrico: proprio in quegli anni, infatti, decise di dedicarsi alla ricerca di teorie di campo unificate, tema che, insieme ai tentativi di spiegazioni alternative dei fenomeni quantistici, fu alla base dei suoi studi. Nel 1933, a seguito della salita di Hitler al governo, Einstein decise di lasciare l’Europa per trasferirsi negli Stati Uniti, a Princeton, dove rimase fino alla sua morte. Nel New Jersey era già noto per la sua concezione pacifista nel mondo e per il suo appoggio ai movimenti per i diritti civili: per questo venne da subito marcato come comunista. Gli uffici federali lo spiarono per oltre 22 anni senza mai arrendersi, intercettando le sue telefonate, curiosando tra la sua corrispondenza, e ficcando il naso addirittura tra la sua spazzatura. Il Bureau, prima di fermare le ricerche dopo la sua morte, arrivò persino a pensare che stesse progettando un raggio della morte per conto dei sovietici: nel 1955 il suo fascicolo era lungo più di 1.800 pagine.
Il pacifismo da lui sostenuto venne però messo da parte alla fine degli anni ‘30 del Novecento quando scoprì che gli scienziati del Reich stavano lavorando al progetto della bomba atomica. Ormai negli Stati Uniti da diversi anni, decise di scrivere una lettera all’allora presidente Franklin Roosevelt nella quale esortava il Paese a portare avanti studi e ricerche per riuscire ad ottenere l’arma prima della Germania nazista. Sebbene l’idea del progetto Manhattan fu la sua, Albert Einstein non contribuì in alcun modo alla sua realizzazione, e anzi negli anni seguenti si pentì moltissimo del ruolo ricoperto nel potenziamento delle bombe atomiche. Fu questa la motivazione che lo portò, poco prima di passare a miglior vita, a scrivere insieme al filosofo Bertrand Russell un documento conosciuto come Manifesto Russell-Einstein, in cui venivano chiariti i pericoli di questi armamenti e si invitava i governi a “trovare metodi pacifici per risolvere le dispute”.
Nel corso della sua vita Einstein non si rapportò soltanto con la politica, ma anche con la religione, con la quale però non ebbe un rapporto facile. Sebbene fosse di famiglia ebraica, infatti, il genio della fisica non credeva molto negli aspetti strettamente religiosi della fede, piuttosto si considerava ebraico dal punto di vista culturale. Nel 1952, quando morì il primo presidente di Israele, il governo gli chiese di diventare il secondo presidente del Paese, proposta che venne declinata: «per tutta la vita mi sono occupato di questioni oggettive. Per questo mi mancano sia l’attitudine naturale, sia l’esperienza per trattare con le persone e per esercitare una funzione ufficiale».
Fondamentale era invece la relazione tra scienza e religione: «la scienza senza la religione è zoppa, la religione senza la scienza è cieca. La scienza contrariamente a un’opinione diffusa non elimina Dio. La convinzione appassionante della presenza di un superiore potere razionale, che si rivela nell’incomprensibile universo, fonda la mia idea su Dio». La sua eredità, infatti, non si identifica soltanto nell’apporto che diede alla comprensione del mondo e alla fisica, ma anche nella grande figura che rappresentò per la teologia, l’etica e la filosofia, portando a notevoli dibattiti sul rapporto tra fede e scienza. Tutt’ora lo stretto rapporto tra le due, da lui diffuso, continua a influenzare gli studiosi che si cimentano nella creazione di una connessione tra spiritualità e razionalità, in un’era in cui la tecnologia e la sua continua innovazione fanno sorgere dubbi etici.
A 70 anni dalla morte di uno dei pochissimi pensatori che hanno lasciato un’impronta indelebile in diversi campi del sapere, si torna a parlare delle sue brillanti opere. Pochi anni fa le pagine degli appunti di Albert Einstein, che il caso fece nascere proprio nel giorno del Pi greco (14 marzo), in cui preparava la teoria della relatività, sono state vendute all’asta nella capitale francese per 11,6 milioni di euro.