La scultura moderna saluta uno dei suoi padri più innovativi. Dalle iconiche sfere in bronzo ai gioielli su ossi di seppia
Annunciando la morte di Arnaldo Pomodoro, la Fondazione che porta il suo nome saluta “la coerenza e l’intensità del suo pensiero, capace di guardare al futuro con instancabile energia creativa“. L’artista si è spento a Milano nella sera del 22 giugno, all’età di 99 anni.

Romagnolo di nascita, legatissimo ai rami storici della sua famiglia, un po’ pugliese e un po’ marchigiana, Arnaldo si forma a Pesaro dove scopre il suo tormento prima e il suo talento poi. Fratello di Giò, anche lui artista di fama internazionale, scomparso nel 2002, Arnaldo comincia i suoi studi da geometra, per poi approdare alla scultura passando per la scenografia teatrale.
La commistione di materiali libera e senza soluzioni di continuità lo porta a lavorare con il piombo, l’argento e l’oro, incastonati con la tecnica della fusione su osso di seppia e trasformati in gioielli. La sua arte però spicca il volo quando trova una naturale collocazione all’aria aperta: le forme geometriche di Arnaldo Pomodoro sono scalfite e puntellate dei tormenti e delle pulsioni dell’artista, che dedica un capitolo centrale della sua ricerca ai solidi euclidei.

Cubi, sfere, coni e piramidi corrosi, sfregiati, scavati della materia ma non snaturati nella forma: «volevo mettere in dubbio il senso di perfezione e la simbologia di ogni forma assoluta» spiega. La Sfera n. 1 è del 1964, anticipata dalla Colonna del viaggiatore (cinque metri di altezza di ferro fuso). A Roma, davanti alla sede della Farnesina, svetta ancora oggi la Sfera grande realizzata per l’Expo di Montréal del 1967, così come a New York è una Sfera di Pomodoro ad accogliere gli avventori del Palazzo di Vetro, sede ONU.
Ecco la cifra delle opere volumetriche di Arnaldo Pomodoro, nel teso dualismo tra la forma astratta e universale e un contenuto sempre ombroso, da scoprire una scalfittura alla volta, scoprendo la materia per indagarla, più che per raccontarla. Il lascito testamentario dell’artista è il suo stesso tormento creativo, un “tarlo che divora la materia dall’interno” per potersela spiegare.

CREDITI DELLE FOTO DI COPERTINA: ANSA/ DANIEL DAL ZENNARO